Quattro giorni lavorativi a settimana, stipendio invariato, maggiore flessibilità. Dopo l'Islanda, la Spagna, il Belgio, adesso anche nel Regno Unito si prova a far funzionare un modello che ha tanto da dare in termini di benessere ed equilibrio. Il test britannico è nato in seno all'associazione 4 Day a Week che ha coinvolto, su base volontaria delle aziende in cui sono impiegate, più di 3 mila risorse. Il progetto al momento è pilota e durerà sei mesi: si è in una fase di rodaggio per capire come si possa mantenere un assetto simile, a parità di stipendio e con ore operative in meno per svolgere le task delle proprie mansioni.

Ma i test servono proprio a questo: a provare, limare ed eventualmente rivedere alcuni processi, per attuare delle pratiche che a un certo punto diventano virtuose. Nel segmento inglese appena partito, tantissime multinazionali dei settori più svariati, dal tech al settore bancario passando per le società di consulenza e finanziarie hanno deciso di aderire al programma. Secondo le ricerche di 4 Day a Week, i benefici sul piano professionale e personale di una simile scelta ricadono su più piani: quello del benessere generale, della produttività, dell'interesse nei confronti del mondo aziendale, della sostenibilità e, non ultimo, della gender equality. Contratti e orari più flessibili garantiscono un accesso più lineare anche alle fasce più deboli rese ancora più fragili dalla pandemia che non solo ha lasciato a casa milioni di persone a causa delle crisi, ma ha anche costretto tantissime donne a ridimensionare l'orario lavorativo o, peggio, a mollare del tutto, per poter gestire meglio la famiglia.

Lavorare meno per lavorare sani

La pandemia ci ha anche fatto capire una cosa, in merito a quel lavoro agile che è diventato per un certo periodo modello d'eccellenza per non fermare i motori del mondo. Lavorare da casa nelle condizioni in cui lo abbiamo fatto fino a ora non è fattibile. La casa-ufficio ha funzionato per un po', poi però la bolla è scoppiata e sono venuti fuori più casi di burnout pandemico di quanti ne riusciremo mai a contare. Molti hanno perso l'appiglio e il conforto delle mura domestiche diventate, appunto, sede ufficiale della scrivania per molte ore al giorno, troppe e spesso più di quelle dovute. La confusione tra privato e pubblico ha condensato in sé paure e stress, generando, in positivo, un'ondata di grandi dimissioni; in negativo un flusso di persone sempre più prostrate dalla mancanza di confini, dall'orario sì fluido ma infinito, dalla percezione di capi e dirigenza che il lavoro da casa non sia lavoro vero, ma solo una sua pallida proiezione.

La settimana corta, in questo senso, può fare molto: ma solo se verranno messi al centro della scena i diritti dei lavoratori come si sta provando a fare in parecchi paesi europei (meno, purtroppo, l'Italia: ancora ferma anni luce a quel concetto di produttività che non può mai prendersi una pausa).

Lavorare meno per lavorare più sani, equilibrati, più felici, più soddisfatti è senz'altro la sfida del futuro. Ci auguriamo che non sia solo un test, che da questa prova non si torni più indietro. E che, chi di dovere, si impegni per farla funzionare: i lavoratori ci metteranno quel che serve (passione, impegno, organizzazione, planning) per non far rimpiangere mai a nessuno le settimane eterne in ufficio.