Mi ero data come limite massimo mezz'ora, per l'intervista con Florencia Di Stefano-Abichain, ma, come intuirete buttando un occhio alla mole di questo pezzo, ho abbondantemente sforato. Eppure nessuna parola è stata sprecata, complice da un lato un'interlocutrice che tiene vivo il dialogo come poch*, perché, dote rara, sa mettersi sinceramente in discussione, e dall'altro un tema che non può essere risolto in poche battute. A tenerci, quindi, incollate a quella che entrambe speriamo possa essere una delle ultime interviste via Zoom, è stato Questo libro è trans di Juno Dawson, del quale Florencia ha curato per Sonda l'edizione italiana, e che nel retro copertina promette di contenere "tutto quello che hai sempre voluto sapere sul mondo trans e non binario". Non è un saggio, ma un libro che affronta in modo molto schietto, ma anche molto pop, questioni complesse e delicate come l'identità e l'espressione di sé, il coming out e l'uso dei pronomi, il genere e la non conformità di genere, e pure il fatto che ci sia chi del genere neghi l'esistenza. Dawson in queste 280 pagine rese ancora più speciali dalle illustrazioni di Soofiya, artista visuale di genere non conforme, intreccia la sua esperienza di vita di donna trans, a testimonianze di altre persone della comunità LGBTQI+, con, per tornare al concetto centrale di utilità di questo scritto, anche momenti dedicati a consigli molto pratici, molto utili, per tutt*. E una delle tante cose su cui io e Florencia ci troveremo d'accordo lungo i nostri 50 minuti di scambio, è proprio la necessità di arrivare a comunicare se non con tutte, quantomeno con più persone possibili, su queste tematiche, andando a disinnescare quel meccanismo per il quale a parlare, ascoltare e darsi ragione sia sempre la stessa cerchia. No: il passo oltre, che "Questo libro è trans" si pone come obiettivo dichiarato, è quello di stimolare un dialogo quanto più ampio, affollato, ed arricchente possibile, andando a rompere la bolla, che può essere un luogo rassicurante, ma che è al contempo anche un limite, quasi una trappola, dalla quale, per cambiare le cose, è necessario uscire.

Florencia, che cosa ti ha fatto dire sì a questo lavoro non semplice di curatrice?

Dici bene, non semplice. Ed infatti ero abbastanza terrorizzata dalla proposta di Sonda di farmi curare l'edizione italiana, ma ho accettato un po' perché conosco e stimo Juno Dawson come scrittrice, autrice, attivista e tv personality, e un po' perché volevo io stessa imparare cose nuove.

Perché eri terrorizzata?

Diciamo impaurita, dai. Lo ero soprattutto per il fatto di non avere avuto, in quanto donna cisgender, cioè che si riconosce nel proprio genere di nascita, esperienza diretta di quello che racconta l'autrice. Ma ho voluto provare perché m'è sembrata un'occasione non solo di arricchimento mio personale, ma soprattutto per poter pubblicare in Italia un libro che è davvero molto utile. Qui, infatti, partendo dall'esperienza di Juno, si arrivano a tracciare un po' tutte quelle che possono essere le declinazioni dell'essere trans e non binario.

instagramView full post on Instagram

Hai dovuto studiare, insomma.

Certo, ho studiato moltissimo, senza la presunzione di sapere già, senza dare per scontato. Ho chiesto, per esempio, materiali alle associazioni, ai gruppi trans, per potermi documentare meglio, anche perché abbiamo ritenuto che fosse opportuno aggiungere delle parti relative all'Italia, dato che Juno Dawson si rifà all'esperienza inglese, dei paesi del Commonwealth. Abbiamo aggiunto parti che raccontano il ddl Zan, e altre che sono invece focus su come, dal punto di vista legale e medico, ci si può sottoporre alla transazione di genere. Infine ci sono i ritratti di due profili di persone transgender diciamo "iconiche", ovvero Vladimir Luxuria e Valentina Petrillo. Luxuria perché, nonostante le controversie che ci possono essere su una figura come la sua, è comunque innegabilmente la persona che ha portato la tematica nei media mainstream, andando quindi a cercare di normalizzarla. Poi mi sono sentito di aggiungere Valentina Petrillo, che recentemente ha fatto la storia dei diritti civili in Italia, prima atleta paralimpica transgender a poter gareggiare nelle batterie femminili.

Tema complesso, quello dello sport e della competizione.

Molto complesso. Ci va di mezzo il CIP cioè il Comitato Internazionale Paralimpico e la federazione, ma c'è anche tutta una parte medica legale tostissima, perché, in sostanza, per far sì che si accetti la tua partecipazione nelle batterie femminili, devi aver intrapreso un percorso medico che ti permetta di avere dei parametri ormonali che siano in un certo range. Quindi, ecco, quando sento dire da certe persone "ah, ma io stamattina mi sento donna e quindi vanno negli spogliatoi femminili", rispondo che magari fosse così facile così semplice, al contrario: è un processo lunghissimo, che richiede anni di percorsi psicologici clinici e legali.

Una cosa che si impara in questo libro è che non c'è un modo solo per essere trans.

Ci sono infinite e molteplici vie per essere transgender. Questo tema della complessità credo sia da ribadire, perché da un lato c'è il bisogno di normalizzazione delle persone trans nella società, dall'altro c'è necessità di togliere loro di dosso certi stereotipi. Per troppo tempo le persone trans sono state ritratte dai media solo come una categoria marginalizzata, mentre, sembra scontato ma non lo è, sono persone che hanno lavori normalissimi, vivono, sottolineo il termine, normalmente. E invece guardi le serie e la trans o è una sex worker, o è una criminale, o è una persona con disturbi mentali o è un genio. Non ci sono state, fino ad oggi, e lo racconta benissimo il documentario Netflix "Disclosure" rappresentazioni di persone normali, umane, quotidiane, ordinarie.

I social stanno, credi, aiutando a normalizzare?

Sì, infatti siccome alla fine del libro ci sono dei testi di riferimento per arricchire ancora di più la lettura, ho inserito, per esempio, "La mia adolescenza trans" di Fumettibrutti. E a mia volta sono stata molto contenta quando abbiamo mandato in anteprima il libro ad alcune persone della comunità LGBTQI+, soprattutto ragazzi e ragazze trans che fanno divulgazione sui social, e ci hanno detto che era un lavoro fatto molto bene. Ne sono molto molto orgogliosa. Come ti dicevo, ero terrorizzata dall'idea di realizzare l'ennesimo prodotto inadeguato, offensivo o discriminatorio e sentirsi dire da chi vive le cose in prima persona che non lo è, dà una enorme soddisfazione, perché vuol dire che può diventare uno strumento utile non solo per persone cis che vogliono saperne di più, ma anche proprio per la comunità LGBTQI*.

Che cosa ti hanno detto che ti ha resa particolarmente fiera del tuo lavoro?

Mi hanno detto che è il libro che avrebbero voluto trovare quando avevano quattordici anni. Mi sono emozionata tanto, perché davvero non posso capire il loro disagio, non posso capire quello che loro hanno provato. Però posso sicuramente immedesimarmi, posso sicuramente aprire la mia mente alla comprensione e posso fidarmi del loro dolore.

Che cos'è, per te, la transfobia?

Transfobia è percepire lo spettro transgender come qualcosa di minaccioso, qualcosa di spaventoso, senza conoscere nulla di quel mondo. Avere delle domande e delle curiosità è normalissimo, è giusto e legittimo, il problema sono le persone che le domande non le fanno, e covano la paura che genera odio. Ecco, su questo credo che se da una parte un libro scritto in una maniera così semplice è ideale per ragazze e ragazzi che cominciano a porsi delle domande sulla propria identità, sul proprio posto nel mondo, dall'altro lo consiglierei anche persone che hanno scartato queste domande, quindi persone che hanno 40, 50 anni e che magari non hanno mai avuto dubbi sulla propria identità di genere, ma si devono approcciare a una nuova generazione. Ed infatti c'è una sezione anche per i genitori. C'è un capitolo che suggerisce semplici accorgimenti per le domande da fare, in maniera delicata, per far sentire vicinanza e il supporto concreto ai propri figli. E questo per me è importantissimo.

Mi interessa molto il discorso della paura ad approcciarsi alle cose sbagliando, perché secondo me questo è un po' un limite della conversazione in atto. Stiamo tutt* imparando, no?

Esatto. Parto dicendo che io non mi considero attivista, mi considero advocate. Non c'è questo termine in italiano, ma lo trovo molto più calzante con quello faccio. Io mi interesso a tematiche di femminismo intersezionale, di tematiche LGBTQI+, di tematiche sociali. Quello che io faccio è un lavoro di advocacy, cerco di decodificare quelli che sono concetti molto complessi e adattarli nella vita di tutti i giorni in modo che nessuna persona, tra quelle che mi seguono o in radio o su web, si senta escluso da questa conversazione. La mia più grande paura è che a furia di redarguire le persone perché non hanno usato il pronome giusto, perché non hanno usato la parola giusta, si finisca per parlare sempre tra di noi, e ci si chiuda ancora di più, e si si venga considerati respingenti. Ed è l'ultima cosa che voglio. Io, anzi, voglio che le persone si sentano invogliate a voler approfondire e che non sia io il punto d'arrivo, no: io voglio poter parlare di modo che qualcuno dica "grazie per lo spunto, mi vado a informare". L'attivismo online che ti dice, per esempio, "ma cosa vuoi parlare tu di emigrazioni, che sei bianca" penso si auto saboti, perché i temi sociali sono di tutt*. Quindi da una parte vivo, appunto, con un timore di fondo che cerco di incanalare e di trasformare nel pensiero che, semplicemente, devo studiare ancora di più, che mi devo preparare ancora di più, però dico anche che se mi sono sbagliata con un pronome, mi sono sbagliato con una traduzione, beh pazienza, vorrà dire che la prossima volta la farò meglio. Io non credo in chi si erge come paladino paladina dei diritti sociali, perché poi si arriva ad una cosa che mi spaventa molto e che è il culto della personalità del singolo. Il culto che noi abbiamo del singolo è qualcosa di molto pericoloso, può portare a delle derive ad ampio spettro che non mi piacciono.

E del femminismo non intersezionale che cosa ne pensi?

Non so neanche come risponderti (ride)! Io personalmente non considero femminismo quello che non è un femminismo interstiziale. Per come sono stata educata, per come sono cresciuta, per le mie esperienze di vita io non posso pensare a compartimenti stagni: io sono una ragazza, ma sono anche una migrante (Florencia è di origine argentina) ma sono anche una persona non ricca che viene da un ambiente umile. Sono una persona che non ha mai avuto problemi con la propria identità, ma che sul propio orientamento si è fatta mille domande. Però, ripeto, queste cose non possono andare in maniera separata, per cui quando tante persone, che io considero molto intelligenti, molto colte, vengono a dirmi "mi spiace ma per me le donne trans non sono donne, sono comunque maschi" non trovo il senso, proprio non me lo spiego. Sarà forse anche un mio limite, perché per partecipare alla conversazione, devi poter capire il tuo interlocutore, ma io non sempre riesco a capire come sia possibile non accettare anche la sofferenza altrui, non avere empatia per comprendere il disagio degli altri.. Anche il fatto di dire che le donne non dovrebbero essere così vicine alle tematiche LGBT perché altrimenti passiamo come categorie marginalizzate, che cos'è, una gara a chi è più marginalizzato? Un conto è dire che non si possono sposare tutte le battaglie, per cui non posso occuparmi di questione femminile di genere gender gap salariale o e anche delle migrazioni nel Mediterraneo, e questo lo capisco, però io credo si debba avere una coscienza sociale su tanti temi e capire che il filo conduttore è sempre quello della prevaricazione.