C'è una scena, nella docuserie Harry & Meghan arrivata in streaming su Netflix con i primi tre episodi l'8 dicembre (la seconda parte arriverà il prossimo giovedì), che restituisce in pochi frame la ragion d'essere dell'intero progetto televisivo diretto da Liz Garbus. Meghan ha in braccio il suo primogenito Archie, oggi 3 anni, e con lui osserva un ritratto regale di Diana Spencer appeso al muro della nursery. «Chi è quella?» dice Markle al bambino con voce flautata. E poi conclude: «È la nonna Diana!». Dall'altro lato dello schermo, a riprendere la scena, c'è presumibilmente il principe Harry, l'unico che dell'icona di Althorp abbia davvero ricordi. È un momento intimo, privatissimo, integrato nel montaggio per suscitare facilmente empatia ed emozione nello spettatore, soprattutto in quelli che hanno perso un genitore da piccoli come è successo a Harry quando aveva appena 12 anni. Il risultato, però, è puro cringe. Che scatena la voglia di premere sul tasto che fa avanzare di dieci secondi per giungere a lidi più rassicuranti.

La sensazione è di trovarsi davanti una scena che non sarebbe mai dovuta finire su una piattaforma come Netflix alla mercé di milioni di spettatori, metà dei quali vedranno Harry & Meghan per pura curiosità e l'altra per racimolare spunti e alimentare l'astio nei confronti della coppia. Allo stesso tempo, il frame è rivelatore: specifica, senza ombra di dubbio, la direzione della narrazione, ne svela gli intenti e definisce le pedine del gioco. In quelle immagini, il documentario, di fatto, si compie.

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La Diana del ritratto di Patrick Demarchelier appesa al muro, con la sua tiara, il suo abito da gran gala e il sorriso iconico è l'eroina, e, per interposta persona, eroi sono anche suo figlio Harry e la nuora che non ha mai conosciuto «ma così simile a lei» Meghan, martiri dello stesso calvario. I cattivi sono sempre gli stessi: l'Istituzione - monarchia, così formale «anche a porte chiuse» (frecciatine passivo-aggressivo ai principi di Galles, lo stai facendo bene); la stampa britannica, crudele e meschina; la razionalità, fredda e calcolatrice, che impedisce di pensare «col cuore». Tra i nuovi nemici da affrontare, infine, il razzismo, quello sistemico e interiorizzato, radicato in un contesto sociale chiusissimo, che in pochi possono capire («Come fai a dire alla tua ragazza che deve fare la riverenza a tua nonna?», dirà Harry a un certo punto, in uno dei rari momenti in cui è possibile riconoscerne i tratti ironici, leggeri e fanciulleschi con i quali si è conquistato, nei suoi anni d'oro, il favore del mondo intero).

Cosa non funziona nel documentario Harry & Meghan

Partiamo da un paio di elementi fondamentali da conoscere prima di addentrarsi nella visione di questi primi tre episodi: Harry & Meghan è una produzione di Netflix nata in collaborazione con Archewell, la fondazione che fa da cappello a tutti i progetti imprenditoriali e filantropici di Harry e Meghan Markle. Il Financial Times ha fatto sapere che Garbus, alla regia del documentario, non ha specificato se i duchi di Sussex abbiano dato o meno l'approvazione finale al montaggio, e questo vuol dire che non sapremo mai se la regista abbia avuto libertà assoluta di usare spezzoni, interviste e contenuti esclusivi a suo piacimento o sia stata, in qualche modo, guidata dagli stessi protagonisti (nonché finanziatori).

In un disclaimer, inoltre, si legge che la famiglia reale ha deciso di non offrire un contradditorio a quanto riportato da Harry, Meghan, collaboratori, amici e parenti della coppia (guest star dei primi tre episodi sono la mamma della duchessa, Doria, e la nipote, figlia della sorellastra e acerrima nemica Samantha Markle, Ashleigh). Ma i royal reporter e Buckingham Palace fanno sapere che nessuno, a Londra, è stato interpellato da Netflix per offrire la propria versione dei fatti.

la recensione del documentario su harry e meghanpinterest
Courtesy of Prince Harry and Meghan, The Duke and Duchess of Sussex//Netflix
Un frame del documentario

Esattamente come Finding Freedom, la biografia del 2020 scritta dal giornalista Omid Scobie, cui i duchi di Sussex hanno collaborato passando informazioni di prima mano all'autore (ma di nascosto), Harry & Meghan non ha contraddittorio. Ed è, come tutti gli esercizi stilistici privi di critica, un bel manifesto di intenti personali, dunque in quanto tali intoccabili, degli stessi protagonisti. Non ci sono, inoltre, rivelazioni scottanti, non vengono fatti nomi e cognomi, a parte quella della principessa Michael di Kent, moglie di un cugino primo della regina Elisabetta, che, nel Natale 2017, il primo di Meghan Markle a Londra, indossò la spilla con la testa di moro in chiaro segno di dissenso per la presenza della fidanzata di razza mista del principe (dicono i Sussex: la versione ufficiale della parente è che non ci aveva pensato).

I commenti più disdicevoli, le accuse più o meno velate, le critiche verso il sistema vengono pronunciate dal folto corollario di amici e parenti intervistati da Garbus: Harry e Meghan si guardano bene dal dire alcunché, riportando giusto qualche nota di colore sugli inizi del loro amore, sui primi e segretissimi incontri, sulle feste a tema con amici e parenti (quelli divertenti, come la principessa Eugenie di York).

Controversa anche la scelta di mostrare stralci dell'intervista di Diana Spencer con Panorama - quella del 1995 estorta con l'inganno di cui The Crown 5, recentemente, ha ben ricostruito intenti e macchinazioni - per riportare lo spettatore alla narrativa principale, giornalisti cattivi VS principi del popolo buoni. Quell'intervista è forse la rappresentazione più dolorosa e potente di quanto la stampa abbia intensificato il malessere esistente della principessa del Galles: è un contenuto che il principe William ha rigettato con forza, tanto da averne richiesto la cancellazione da ogni palinsesto presente e futuro. Eppure il fratello ha scelto di usarne degli spezzoni a fini stilistici: una scelta paradossale, non sappiamo come altro definirla.

C'è pure uno spiegone sul colonialismo britannico, quel passato sanguinoso dell'Impero sui cui la monarchia è fiorita e di cui oggi gli eredi di Elisabetta si vogliono disfare perché troppo vergognoso: al netto dell'utilità della lezione di storia, è chiaro che l'intento non è educativo ma narrativo, ancora una volta funzionale a rimarcare i valori dei protagonisti e l'aura oscura dei grandi nemici. Non c'è, invece, alcun approfondimento sul passato tormentato di Harry: l'episodio della svastica (quando venne pizzicato a una festa in maschera con un look da SS) viene liquidato in due scene, senza la minima introspezione. Sarebbe stato bello capire perché un principe bello, di famiglia più che ottima, famoso e amatissimo sia caduto in una spirale di auto-distruzione così terribile e allo stesso tempo così umana. Ma quella storia non fa parte della narrativa (romantica, ideale, perfetta) di Harry e Meghan: è solo la vicenda di un ragazzo che ha perso sua madre troppo presto e finisce in un turbine di donne, droga e alcol per provare a stare meglio. Nell'affresco californiano creato dai Sussex e dai loro PR, in cui essere attivisti e introdurre nella conversazione l'espressione 'bias cognitivi' è fondamentale per mostrarsi sempre impegnati e al servizio delle cause che contano, quel pezzo di passato sembra non poter entrare.

In più, evitare il tema è anche un'abile mossa di marketing nonché ottimo preludio alla biografia Spare - Il minore, in uscita il 10 gennaio prossimo, libro in cui si spera che il principe sarà un po' più onesto con se stesso e con i lettori di quando non lo sia stato con gli spettatori di Netflix.

Le reazioni della stampa

Come ci si aspettava, le reazioni dei giornalisti di tutto il mondo non sono state molto positive. Anche perché, nell'atmosfera di segretezza che ha circondato a lungo questo prodotto, a nessuno sono stati concessi gli screener, ovvero la possibilità di vedere gli episodi in anteprima per lavorare alla recensione senza il clamore che consegue alla visione collettiva. Dall'America al Regno Unito, a leggere le recensioni, c'è un unico leit motiv: l'autocelebrazione non porta lontano. E così il Guardian ha titolato: 'Harry & Meghan: così disturbante che ho quasi sputato la colazione'; Deadline ha scritto 'Un banale romanzo senza retroscena reali gustosi'; solo l'Indipendent ci è andato piano, definendo il documentario un 'racconto intimo, auto-celebrativo e divertente'.

Fino a ora Harry & Meghan non è niente di più che un prodotto fan service, costruito a uso e consumo dei fan della coppia. Come la reunion di Friends, di Gilmore Girls o di Boris, per intenderci. E, proprio come quegli episodi speciali, la docuserie sui Sussex non aggiunge nulla a ciò che già sapevamo su di loro. Lascia tutto com'era, semplicemente fomentando gli appassionati, stimolando flebilmente i curiosi e irritando i detrattori. Con questo spirito, queste categorie di spettatori si godranno la seconda parte, in streaming dal 15 dicembre. Poi arriverà la biografia di Harry. E per l'estate, così si augurano a Londra e forse un po' ce lo auguriamo pure noi, saremo tornati all'assetto elisabettiano: mai lamentarsi, mai spiegare, chi tace campa cent'anni e infatti guarda per la regina, com'è finita.