A meno di una settimana dall’uscita, Spare, la prima biografia del principe Harry scritta dal più bravo ghost writer al mondo, J. R. Moehringer, è già entrata nel Guinness dei primati come il saggio che ha venduto di più nel minor tempo (al momento siamo a circa un milione e mezzo di copie). Harry ha centrato l’obiettivo: la sua versione della storia ha raggiunto ogni angolo del globo. Ma questo, purntroppo, non basterà a fargli trovare pace.

Spare, infatti, è un libro pieno di dolore. C’è una vittima e ci sono tanti cattivi. C’è papà Carlo, c’è il fratello maggiore erede William, c’è Camilla, chiamata solo «l’altra donna», c’è Kate Middleton, colpevole di non averlo più capito. C’è tutta la Firm, e ancora di più c’è la stampa verso la quale Harry negli anni ha sviluppato una vera ossessione.

Il risentimento del principe, del resto, lo si percepisce fin dal titolo. William l’erede, lui quello di riserva. «Ero l'ombra», fa sapere Harry, «il sostegno, il piano B. Ero stato messo al mondo nel caso fosse successo qualcosa a Willy». Come Harry, il libro è rancoroso, moralista, autoironico, prolisso, irriverente. E, di tanto in tanto, sconcertante. Scopriamo, infatti, molte più cose sul nipote di Elisabetta II di quante ci saremmo mai immaginati. È circonciso, è tornato dal Polo Nord col pene congelato, ha perso la verginità con una donna più anziana nel giardino di un pub: «A lei piacevano molto i cavalli e mi trattava in maniera non molto diversa da un giovane stallone. Una rapida cavalcata, alla fine della quale mi aveva dato una sculacciata e mi aveva mandato a pascolare».

Scopriamo anche che la regina amava preparare il condimento per l’insalata e che Carlo fa la verticale in boxer, che Kate non ama scambiare il lucidalabbra. Che la competizione tra fratelli è forte, persino sull’aspetto fisico. «Guardai Willy, lo guardai davvero, forse per la prima volta da quando eravamo ragazzi», si legge in un passaggio, «Mi resi conto di tutto: il suo familiare cipiglio, che era sempre stato la sua abitudine nei miei confronti; la sua allarmante calvizie, più avanzata della mia; la sua famosa somiglianza con la mamma, che stava svanendo con il tempo. Con l'età».

Ma non c’è dubbio che l’intero libro ruoti intorno alla morte della madre, avvenuta nel 1997 quando lui aveva dodici anni. Una ferita profonda nella psiche di Harry che oggi ha 38 anni. In pubblico, racconta, ha pianto una volta sola, sulla tomba di Diana, e poi mai più. Ha trascorso, rivela, oltre dieci anni aggrappandosi alla teoria che lei non fosse morta, ma si fosse semplicemente nascosta. Per sfuggire alla Firm e alla stampa, ai nemici insomma.

Nel frattempo Harry diventa uno studente mediocre che, a differenza del padre, odia Shakespeare. Ha provato ad aprire le sue opere, spiega, «per scoprire che Amleto raccontava di un principe solitario, ossessionato dal genitore morto, che guardava il genitore rimasto in vita innamorarsi di un usurpatore. L’ho chiuso subito». A Eton, rivela, venne poi scritturato per una parte in Molto rumore per nulla che gli fece scoprire, con sua grande sorpresa, di essere piuttosto bravo: «Essere reali non era poi così lontano dall'essere su un palcoscenico».

Si continua con l’Harry consumatore di droghe. C’è la cocaina, c’è l’alcol e ci sono i funghi allucinogeni, provati nel corso di una festa a Hollywood. A dargli l’idea del mondo reale, continua, ci sono state le missioni in Afghanistan, uno dei passaggi più controversi del libro, prima di entrare nel pieno di una vita a palazzo. «Un Truman Show senza fine», continua, «in cui non ho quasi mai avuto soldi in tasca, non ho mai posseduto un'auto, non mi sono mai portato dietro le chiavi di casa, non ho mai ordinato nulla online, non ho mai ricevuto una sola scatola da Amazon, non ho quasi mai viaggiato in metropolitana».

E se non è mai stato un appassionato di letteratura, allo stesso tempo Harry è sempre stato un attento lettore di tabloid. Ogni sillaba scritta su di lui nel corso degli anni nonostante il consiglio ricorrente di papà Carlo: «Non leggere, mio caro ragazzo». Fu il suo terapeuta, spiega, a dirgli di essere dipendente. La stampa, dice Harry, gli ha rovinato la vita e il Palazzo non ha fatto nulla per difenderlo. Perché lui è sempre stato quello di scorta, quello sacrificabile. Al ritorno dalle missioni con l’esercito, Harry inizia a soffrire di attacchi di panico, di solitudine, non si fida più di nessuno. Mentre suo fratello e i suoi amici si sposano, lui «continua ad asciugare i vestiti che le mie guardie del corpo mi hanno aiutato a scegliere su un termosifone, mangiando cibo da asporto, da solo, sul lavello del cottage di mio padre».

Questo finché, come sappiamo, non entra in scena Meghan. Della loro storia, Harry racconta tutto, ogni dettaglio, anche i più insignificanti. Questa, però, è la parte meno interessante. E non solo perché avevamo già visto la serie Netflix. Quando Harry parla di Meghan, la donna che l’ha salvato, la donna a cui deve tutto, cambia tono. La ferita appare più piccola, aumenta l’istinto di protezione per la famiglia che ora finalmente ha e che non potrebbe essere più diversa da quella di origine.

Famiglia che nonostante tutto Harry dice di amare. Nell’ultima intervista il principe ha fatto sapere di avere materiale per un altro libro e che, questo, l’ha scritto per salvare i Windsor da loro stessi. Anche se così fosse non basterà, purtroppo, a salvare se stesso. Lo dice bene Tina Brown, biografa di Lady D: «È incredibilmente toccante ed enormemente commovente sentire come Harry ha affrontato la perdita della madre da bambino. Ma quando discute di ciò che è accaduto negli ultimi anni, sta facendo un po' di gaslighting su se stesso, francamente, perché il fatto è... che sta vendendo la sua famiglia per soldi, essenzialmente, quando ha parlato così spesso dell'agonia di essere traditi».