Mette il piede per la prima volta sul palco dell’Ariston. «Mi dicono che sono il primo a farlo, senza esserci mai venuto prima». Lo fa da superospite, con estremo rispetto e la gioia di tornare su un palcoscenico. C’è tanta gratitudine verso Amadeus e tutta la produzione del Festival per avergli permesso di realizzare tutto quello che desiderava.

Sanremo, come per tutti, fa parte della sua storia di telespettatore, è ricordo di infanzia con la sua famiglia, è tradizione. Lo guardava a casa, quando il sogno di diventare cantante era già acceso. «Quando ho iniziato a fare questo lavoro avevo 18 anni e le mie prime canzoni le ho scritte a 15. Studiavo il pianoforte e a 11 sognavo di fare il cantante. Poi ci ho messo sei anni a organizzarmi e ci sono riuscito ma non avrei mai pensato di arrivare dove sono ora».

C’è qualcosa di sacro quindi nell’arrivare al Festival per raccontare la lunga storia della sua carriera attraverso le sue canzoni. Ed è anche stato difficile scegliere quali cantare, per ripercorrerla insieme. Ma, una volta decise, si è trattato solo di metterle in scena, puntando alla voglia di creare uno spettacolo nello spettacolo.

I portici di Bologna, la sua città, a fargli da cornice, partendo da una camminata che sa di riflessione, un pianoforte, i suoi musicisti, un’estrema intensità ed emozione di un grande artista che, arrivato a 41 anni, ha capito di aver superato i sogni che aveva da bambino e guarda al futuro senza più prospettive «perché quando sei andato oltre ai tuo sogni non sai cosa può succedere», sapendo che l’unica cosa che conta è rimanere coerente con se stesso, con la sua arte, con la necessità di continuare a raccontare storie.

Chiamando a gran voce l’attenzione sulla ripartenza dei concerti «Siamo tutti in attesa di ricominciare a fare concerti e ad andare a vederli. Penso che possa avere impatto molto forte risentire l’energia del palco da un performer come me. Tutto questo per comunicare una necessitàstrutturale del mondo dello spettacolo in questo momento e della cultura del nostro paese in generale. La ripartenza dei concerti deve essere una riflessione concreta e urgentissima altrimenti non possiamo neanche più dici un paese unito. Perché se lo fossimo dovremmo ragionare di tutti i settori importanti».

Vive questo Sanremo come un momento cardine nella sua carriera. Non come una vetrina, non un punto di arrivo, ma un grande regalo per mostrarsi per quello che è oggi, con la storia che lo ha portato fin qui. «Abbiamo raggiunto un limite. Un anno a meno del 99 per cento di fatturato per un’azienda vuol dire chiudere»

"Nessuno vuole essere Robin", "Marmellata25", "Logico", "La Nuova Stella di Broadway", "Poetica", nel suo primo intervento, da quel «come mai sono venuto stasera» della prima canzone, agli archi e fiati della chiusura, come fosse un grande live in un piccolo spazio, che diventa immenso di fronte a milioni di spettatori. Lo ha pensato e voluto, e grazie ad Amadeus e alla direzione artistica lo ha realizzato, ritrovando i lavoratori dello spettacolo che lavorano con lui dopo due anni di stop. «Mentirei se dicessi che non mi sono emozionato tantissimo nel rivederli tutti».

È un viaggio nei ricordi, un rendersi conto che in più di vent’anni di carriera sono tantissime le canzoni importanti. C’è il suo cambiamento, il Cesare ragazzino a cui esplodeva il successo in mano che si è ritrovato da solo a dover ricominciare da capo, sempre e solo con le sue canzoni, con la sua urgenza. È un viaggio nel futuro, con un nuovo contratto discografico firmato per tre dischi, il primo in arrivo il 25 febbraio (Virgin Records/Universal Music).

Torna sul palco in un secondo momento, con l’intervento che parte dal presente con La ragazza del futuro, il suo ultimo brano, e torna all’inizio di questa lunga storia, cantando 50special, a ricordarci che alcune canzoni possono durare per sempre. E possono dare a vent’anni di distanza la stessa gioia.

«L’ho scritta a 17 anni. E certo non mi sarei mai aspettato, quando mia mamma mi ruppe la chitarra sulla schiena perché studiavo la patente invece che Platone, che sarebbe andata così». Si riconosce ancora in quel brano, ha ancora voglia di saltarci sopra. Una canzone realmente giovane, scritta da un ragazzo che diceva quello che sentiva, senza che nessuno gli dicesse cosa funziona tra i giovani. «Porta con sé qualcosa che possediamo tutti e che non vogliamo perdere facilmente, non potrò mai riscriverla». La canta lasciandosi andare, per divertirsi, per celebrare una partecipazione voluta, sentita.

«Ho un’età che mi permette di guardare le nuove generazioni fare cose nuove. Stanno crescendo in un contesto diverso, hanno riferimenti diversi. Non posso giudicare artisticamente, ma so che il mio modo di affrontare la musica è sempre stato rivolto alla libertà. In un momento come questo in cui nessuno di noi sa davvero il valore di un disco di platino, credo che la libertà di espressione nel mondo della musica pop sia un valore che rende il nostro mercato entusiasmante. Anche se alcune cose possono sembrarci scontate per quello che è un metodo per arrivare ai risultati. Sono un artista molto fortunato».

Sanremo non lo aveva mai considerato, se non nel 1999 dopo il primo disco di platino dei Lunapop. «Andai alle selezioni. Doveva uscire il primo disco dei Lunapop, Sanremo poteva essere la giusta vetrina. La canzone era "Mary seduta in un pub”, l’avevamo tenuta fuori da …Squérez? per farla a Sanremo, ma poi andò in un modo diverso. Un milione e mezzo di copie venute e in classifica per otto mesi. Credo sia stato giusto così, ero ancora troppo immaturo per andarci come concorrente, è stato giusto escluderci». Oggi ci andrebbe? «A Sanremo ci andrò solo due volte, una è questa prima che vengano i capelli bianchi. Poi coi capelli bianchi».

Narra il suo percorso, ogni album è stato un passo. Oggi riparte da "La ragazza del futuro" e "Colibrì", in attesa di presentare il suo prossimo disco «Il soggetto della musica leggera è sempre stato “io”. Ho cercato di rompere lo schema per cui le canzoni sono interessanti solo se parlano in prima persona. Canto una canzone più larga, che canta di noi tutti. È un passo verso una nuova direzione, la pandemia ci ha segnato e in particolar modo impone a chi fa il mio mestiere di fare riflessioni. Non contano i numeri ma dare il valore a quello che faccio. Siamo tutti alla deriva. La vita adulta è una vita di responsabilità. Tutto quello che fai è colpa o merito tuo». Un figlio lo farebbe? «Non si fa un figlio da soli. Ho sicuramente qualche lacuna nella vita privata rispetto a quella professionale. Mi sono dato altre priorità». Che lo hanno portato a essere un artista che oggi non è qui per fare solo un passaggio televisivo ma per lasciare un segno. E se questa serata doveva servire a farci tornare la voglia di vedere un suo concerto… ha funzionato.