Ormai di OnlyFans si parla da parecchio. La narrativa in proposito si concentra principalmente su due punti: da un lato i guadagni improvvisi che molti utenti raccontano di aver raggiunto, dall'altro i pregiudizi sul sex work. Il sito web OnlyFans nasce nel 2016 dando la possibilità di pubblicare contenuti sessualmente espliciti (a pagamento e non), censurati sulla maggior parte delle piattaforme social. In questi giorni, in Italia, si è tornati a parlarne per via di una polemica che ha coinvolto Gardaland.

Il famoso parco divertimenti, infatti, avrebbe scelto di non rinnovare il contratto a una lavoratrice che sostiene di essere stata discriminata proprio a causa della sua attività su OnlyFans. Ci sono parecchie incongruenze che circondano la vicenda, ma tornano, anche questa volta, sia le promesse di guadagni immediati, sia lo stigma sul lavoro sessuale. Entrambi gli elementi giocano effettivamente un ruolo, ma il rischio è di appiattire eccessivamente il dibattito.

È vero che su OnlyFans è così facile guadagnare?

L'ex dipendente di Gardaland, nelle interviste di questi giorni ha parlato di come il suo lavoro sulla piattaforma online le frutti molti più guadagni rispetto all'impiego nel parco divertimenti. In un mondo in cui il lavoro sembra non portare mai alle gratificazioni sperate, è facile sognare una soluzione che porti a una svolta immediata. OnlyFans, all'inizio, ha effettivamente rappresentato questo per alcuni utenti. Come racconta Il Post, l’influencer Naomi De Crescenzo ha sostenuto di «guadagnare più di un politico» tramite i suoi contenuti erotici e la modella Martina Vismara ha detto di aver acquistato una casa grazie ai soldi guadagnati sulla piattaforma.

Certo, al di là di quello che si potrebbe credere, è un lavoro che, a un certo livello, richiede dedizione e costanza. «Significa girare video, inviare contenuti personalizzati, passare tempo su Instagram e Twitter per cercare collaborazioni o pagine che ti sponsorizzino. Poi ci sono i servizi fotografici», racconta la creator Beatrice Segreti, «Tra una cosa e l’altra saranno sei o sette ore di lavoro al giorno». Oggi, tra l'altro, il mercato è ormai molto saturo e gioca un ruolo fondamentale la notorietà del personaggio al di fuori della piattaforma stessa. Per questo pubblicizzarsi sugli altri social diventa parte integrante della speranza di successo e guadagni.

I lavoratori vengono discriminati?

Sicuramente nella nostra società esiste un forte stigma che circonda il lavoro sessuale in generale. Chi fa sex work non ha diritti né tutele e in molti Paesi ci sono leggi che vietano la vendita e la fruizione di servizi sessuali a pagamento. Non è raro, poi, che si rischi effettivamente di perdere altri lavori che consentono di mantenersi, specie se sono in ambiti legati all'infanzia. Secondo la giornalista statunitense Rebecca Jennings, «lavorare su una piattaforma digitale come sex worker significa che il tuo sostentamento è basato sulle decisioni di aziende che probabilmente non vogliono essere associate a te».