Quante paia di Levi’s hai nell’armadio? Forse hai perso il conto! I jeans per definizione hanno una storia affascinante, che parte dal sogno americano di un ragazzo tedesco di nome Löb Strauß: aveva 24 anni quando verso la metà dell’Ottocento decise di lasciare la Germania per raggiungere i suoi fratelli maggiori Jonas e Louis negli Stati Uniti, dove avevano creato una piccola fabbrica di capi d’abbigliamento. Con la sua valigia carica di tessuti salpò dal porto di Bremerhaven e sbarcò a New York, per poi dirigersi verso il ranch di suo zio Daniel nel Kentucky, dove passò qualche anno imparando l’inglese. A quel punto decise di americanizzare il suo nome, in modo da risultare più comprensibile ai suoi nuovi connazionali e fu così che diventò Levi. La lettera ß del suo cognome, che in tedesco si pronuncia con una “ssss”, venne cambiata con due esse. Ecco a voi Levi Strauss!

In quel periodo in California c’era la corsa all’oro: minatori e pionieri si dirigevano verso ovest e così fece anche il nostro Levi: andò a vivere a San Francisco e se ne andava in giro col suo carro a vendere tessuti da lavoro ai pionieri, ai marinai e a tutte le persone che arrivavano da quelle parti in cerca di fortuna. Immagina che, facendo lavori pesanti, spesso gli abiti si scucivano e i tessuti diventavano lisi molto in fretta.

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Levi però si era portato dall’Europa un tessuto molto speciale, che veniva prodotto solo in Francia e in Italia. Quello francese, la tela di Nimes, come suggerisce la parola stessa non era altro che… Denim! In Italia invece veniva prodotta una tela blu di fustagno, molto spessa e resistente, usata dai marinai genovesi: il blue jeans, dove jeans suona proprio come Genova. Non sapremo mai se è nato prima il jeans genovese o il denim francese, ma una cosa è certa: i pantaloni fatti con quella tela li ha inventati il nostro bel ragazzone tedesco.

All’epoca non si chiamavano ancora jeans: quel termine è entrato nel gergo comune (e nei guardaroba di milioni di persona) solo negli anni Sessanta e fino ad allora venivano chiamati waist overalls.

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Levi Strauss non fece tutto da solo: un cliente, un sarto di nome Jacob Davis, aveva trovato un sistema per fissare le tasche ai pantaloni in modo che non si scucissero a forza di infilarci attrezzi, martelli, pepite d’oro, forbicioni e carabattole di ogni sorta. Davis aveva inserito negli angoli delle tasche dei rivetti di rame. Purtroppo però non aveva abbastanza soldi per registrare il brevetto: servivano 68 dollari e all’epoca non erano pochi. Quindi scrisse a Levi chiedendogli di unire le forze: nel 1873 Strauss e Davis registrarono il loro brevetto e nacque ufficialmente la Levi Strauss & Co.

Levi, prima dei cinquetasche classici, inventò la salopette: nella tascona frontale ci si poteva mettere dentro di tutto, era comoda perché non richiedeva bretelle aggiuntive (ce le aveva già incorporate) né cinture, insomma una svolta.

All’epoca altri imprenditori si misero a produrre quei pantaloni richiestissimi, perciò Levi dovette fare i conti con la concorrenza. Per rendere riconoscibili i suoi jeans decise di fare un’impuntura a doppio arco sulle tasche posteriori: pensa che quella trovata stilistica, che oggi ti fa riconoscere un jeans Levi’s alla prima occhiata, è stata registrata più di mezzo secolo dopo perché a nessuno è balenato per la testa che ne valesse la pena!

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Uno dei tratti distintivi dei Levi’s è la loro etichetta di cuoio, con il simbolo dei due cavalli: fu il nipote di Levi, Sigmund, a disegnarlo nel 1886: i due cavalli che cercano di strappare i jeans tirandoli in direzioni opposte, per far capire quanto siano resistenti. Un’immagine davvero potente!

Nel 1890 sono nati i mitici Levi's 501. Perché proprio 501? Era un numero in sequenza che veniva assegnato a tutti i capi prodotti dalla Levi Strauss e Co. e il loro prodotto più iconico, cioè i pantaloni da lavoro rivettati, erano contraddistinti dal 501. All’epoca erano molto diversi da adesso: intanto erano orgogliosamente anti-fit, cioè non dovevano valorizzare il lato B di chi li portava, ma dovevano semplicemente essere comodi come capo da lavoro, perciò erano molto larghi in vita e avevano una specie di fibbia posteriore che si poteva stringere, evitando così di doverli indossare con una cintura. Per questo non avevano nemmeno i passanti della cintura e mancava anche una tasca posteriore: entrambi sono stati aggiunti trent’anni dopo, nel 1922.

Già nei primi modelli c'era il mitico taschino anteriore, che nessuno oggi capisce a cosa serva, ma all'epoca era utilissimo per infilarci l'orologio.

Durante la Seconda Guerra Mondiale i jeans Levi’s lasciarono andare un po’ dei loro mitici rivetti: bisognava risparmiare metallo per costruire le armi (pensa che barbarie!). Non è stato necessariamente un male: i cowboy dell’epoca, che indossavano i jeans per andare a cavallo, spesso accendevano un fuoco per scaldarsi o per arrostire la cena, e il rivetto sulla patta si surriscaldava, con un effetto davvero poco piacevole nelle parti basse. Anche quel rivetto sparì, nel 1941. I 501 del 1944 assomigliavano molto a quelli di oggi: più aderenti e con la mitica etichetta rossa sulla tasca dietro.

Anche se oggi consideriamo i jeans unisex, al punto che puoi indossare i modelli maschili facendoli diventare un capo “boyfriend”, fino al 1934 Levi’s produceva solo jeans per uomo. La linea femminile è arrivata quell’anno, molto in anticipo sui tempi comunque: all’epoca le donne portavano prevalentemente la gonna: fu una svolta epocale e il mondo della moda se ne accorse, tant’è che andarono in copertina su Vogue.

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Prima degli anni Cinquanta i jeans erano pantaloni da lavoro, ma è bastato che i sex symbol dell’epoca li indossassero nei film per farli diventare dei capi street. Marlon Brando nei panni di Johnny Strabler, il protagonista del film Il selvaggio (The Wild One) del 1953, li rese davvero pop. Una leggenda dice che Levi Strauss in vita sua non indossò mai i jeans, perlomeno non pubblicamente, perché erano un simbolo sociale della working class, ma ovviamente le cose stavano per cambiare e molto in fretta!

In quegli anni i Levi’s, che inizialmente venivano venduti solo nella West Coast, iniziarono a essere distribuiti anche nella costa est, a New York e dintorni: nel 1954 nei Levi’s 501 sparirono i bottoni e arrivò la zip, proprio perché da quella parte del continente, dove c’erano più operai e impiegati che cowboy e minatori, serviva una chiusura più pratica.

I superdivi dell’epoca, come Elvis Presley a James Dean, li indossavano in continuazione. Yves Saint Laurent li adorava e disse che avrebbe voluto averli inventati lui.

Negli anni 80 e 90 è scoppiata la Levi’s mania: i jeans erano la divisa di una generazione. Il sex symbol Nick Kamen che metteva a lavare i suoi 501 restando in mutande ha fatto la storia della pubblicità, oltre a far venire le vampate a milioni di donne (e uomini). Le note di Boombastic di Shaggy e Flat Beat di Mr Oizo sono diventati la colonna sonora degli anni Novanta.

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Le collaborazioni fashion di Levi’s non si contano con fenomeni pop come Poppy Delevingne e Chiara Ferragni, alle capsule altri brand come Air Jordan e Supreme, alle limited edition di tutti i tipi, dalla LGBTQ+ Pride Collection alla collezione di 501 vintage per il 501 Day, fino a una collezione green in cotone organico, il mondo Levi’s più che altro è un universo in continua espansione.