"Valigia, mascherine e gel. Così, pronti a difenderci contro il Covid, siamo andati a Malpensa. Volo Alitalia, destinazione Brindisi. In aeroporto tutti mascherati come in una enorme sala operatoria e attenti a non avvicinarsi troppo agli altri. Imbarco per gruppi di 5 file alla volta. A bordo, tutti i posti occupati, zero trolley e 90 minuti di silenzio contagioso. All’arrivo, un termoscanner ad altezza d’uomo ci ha dato il benvenuto. Poi, al ritorno, stesse attenzioni, stesse modalità di imbarco, ma a bordo posti centrali tutti vuoti. In attesa che il Covid possa precipitare per sempre".

Com'è viaggiare in aereo ai tempi del coronavirus

Così scrive il mio amico Francesco, che il primo weekend di luglio è partito per il Salento in aereo, direzione sole, mare e ientu (vento) come dice il proverbio salentino. È appena sbarcato e non voglio disturbarlo con altre inquisizioni, ma mi interessa capire com'è prendere l'aereo nella prima (e ci auguriamo ultima) estate del Covid-19.

Ai miei appelli sui social rispondono in pochi, tutti in partenza ad agosto: è una fotografia onesta della situazione in Italia. A quanto pare milioni di italiani quest'estate passeranno le vacanze on the road, in staycation o comunque senza passare dai cieli. O passandoci quando, si spera, tra qualche mese l'emergenza sarà ulteriormente migliorata. Ma l'incognita dei voli ci assilla e non si tratta di fygskam, ovvero di vergogna di volare, ma di timori più o meno fondati.

Sarà sicuro viaggiare in aereo? Trovarsi in uno spazio così ristretto con decine di sconosciuti? L'aereo partirà davvero o resteremo a terra all'ultimo minuto? Se prenoto oggi, non è che per caso ad agosto sarà cambiato tutto? Sono i dubbi legittimi che in queste settimane attanagliano un po' tutti, specialmente chi l'aereo l'ha preso per tornare a casa, all'inizio della fase 2, dopo aver trascorso la quarantena fuorisede come è successo a Grazia e Marco (li abbiamo intervistati all'inizio della pandemia per sapere come se la stavano cavando con la convivenza a sorpresa), a Francesca che è riuscita a tornare dagli Stati Uniti poche settimane fa con uno dei pochi voli disponibili verso l'Europa. O chi sugli aerei ci lavora, come Martina, assistente di volo che da qualche mese non vola più. Abbiamo chiesto a loro di raccontarci com'è prendere l'aereo in "fase Covid".

Grazia, studentessa in volo verso casa

"Io e Marco siamo partiti da Torino per tornare in Calabria verso metà maggio. Appena è stato possibile ho prenotato uno dei primi voli Torino-Lamezia, che prevedeva anche uno scalo a Roma. Saremmo dovuti partire il 17 maggio, ma ci hanno annullato il volo quattro giorni prima della partenza, quindi ho vissuto l'ansia che fino all'ultimo mi annullassero anche il volo del 26. Per fortuna però è andata bene, il volo c'era.

Siamo arrivati in aeroporto con largo anticipo, di almeno due ore. Avevamo sia il bagaglio a mano, sia quello da imbarcare in stiva: questi ultimi li pesavano, poi li dovevamo riprendere e lasciarli a un dipendente che se ne sarebbe occupato, ma non passavano come al solito dal rulllo al check-in. Hanno aperto il desk circa un'oretta prima del volo e ci hanno fatto andare uno alla volta, mantenendo il distanziamento e indossando per tutto il tempo le mascherine.

Ci hanno misurato la temperatura e ci hanno fatto passare dalle forze dell'ordine per mostrare le autocertificazione, che all'epoca era obbligatoria. Dopodiché abbiamo passato i controlli al metal detector, sempre mantenendo le distanze dagli altri.

Per salire sull'aereo non abbiamo dovuto prendere il pullmino, come spesso succede, ma l'aereomobile era sulla pista molto vicino al gate, quindi siamo saliti a bordo a gruppi di dieci persone circa, tenendo sempre le distanze, facendoci sedere in modo alternato, una persona ogni tre posti. All'arrivo siamo scesi a gruppi, pr esempio dicevano: "Dalla fila 1 alla fila 10 si possono alzare e scendere". A Roma abbiamo aspettato il collegamento per Lamezia e all'atterraggio ci hanno rimisurato la temperatura all'arrivo.

All'interno dell'aeroporto e durante il viaggio avevo una grande paura di avvicinarmi agli altri, o quando qualcuno si avvicinava a me ero spaventata. La sensazione più grande che ho provato è la paura e me la sono portata dietro per un po' di tempo, durante il periodo di quarantena di due settimane che ho fatto appena arrivata a destinazione. Oltre al sollievo di essere finalmente a casa ho provato tanta paura nello stare a contatto con i miei genitori. Cercavo di stare più lontano possibile da tutti, ho dormito sul divano pur di non dividere la camera con mia sorella".

Francesca, da New York a Milano via Parigi

"Sono appena tornata dagli Stati Uniti, dove ho vissuto per cinque anni, e in questo momento mi trovo in quarantena nella mia città natale, in Piemonte. Non è semplice parlare delle emozioni che provo perché sono tante e per ora tutte contrastanti: c'è la contentezza di essere tornata nel mio Paese dopo un periodo senza precedenti che ha capovolto i piani di tutti; c'è il sollievo nel sapere che, se ci saranno altre ondate di Coronavirus, sarò vicina alla mia famiglia, e in una nazione dove ci sono un sistema sanitario nazionale, più tutela dei cittadini e, soprattutto, dove non c'è un presidente squilibrato. Ho però anche il cuore a pezzi all'idea di aver lasciato un posto che tanto ho amato e che amo. Prendo ogni sensazione come viene, non ne scaccio nessuna, e per adesso non faccio programmi: tornerò là, rimarrò qui? Non lo so, vedremo che succede, sperando che a farmi decidere saranno cose belle.

Quanto al viaggio, sono stata molto fortunata. Sono potuta partire grazie a dei biglietti che mi ha procurato una mia amica, assistente di volo. Sono biglietti stand-by con cui la certezza di imbarcarsi non c'è finché non ti danno conferma in aeroporto, ma a me l'attesa non importava: stavano comunque cancellando un sacco di voli, quindi la certezza non ce l'aveva nessuno, in ogni caso; nelle scorse settimane ho sentito tante persone a cui appunto avevano cancellato il volo di rientro. Io mi sono limitata ad accogliere questo miracolo: non solo sono riuscita a partire, ma ho anche risparmiato moltissimi soldi, e sono immensamente grata alla mia amica.

Sono partita dal JFK di New York, ho fatto scalo a Parigi, e da lì sono arrivata a Malpensa. Certo è stato strano vedere gli aeroporti praticamente vuoti, con negozi e bar quasi tutti chiusi e ancora pochissime persone. Ma penso che rispetto ai mesi scorsi la situazione sia già meno spaventosa. Prima di salire sull'aereo hanno misurato a tutti la temperatura. Ho volato con la mascherina: l'ho tenuta per tutto il tempo e così gli altri passeggeri. Tra me e la mia vicina di posto c'era un sedile libero, ma penso sia stata pura fortuna, perché il volo era abbastanza pieno. Avevo con me l'autocertificazione scaricata dal sito della Farnesina, anche se poi si è rivelata non aggiornata: una volta atterrata a Parigi, e prima di imbarcarmi sul volo per Milano, me ne hanno fatte compilare altre due, di cui una quasi identica a quella che avevo ma appunto leggermente aggiornata. Anche qui hanno misurato a tutti la temperatura. Sul volo Parigi-Milano, a differenza di quello New York-Parigi, non si potevano usare le cappelliere. A parte questo è stato un volo tutto sommato normale. A me sembrava una magia anche solo il fatto di essere a bordo!

Arrivata a Milano, siccome arrivavo tecnicamente da un volo interno all'Unione Europea, non mi hanno fatto alcun controllo, neanche mi hanno guardato il passaporto. La cosa mi ha lasciata un po' perplessa, e mi chiedo come facciano a monitorare gli arrivi extra-UE da voli con scalo interno, a meno che i passeggeri in questione non scelgano di auto "denunciarsi", come ho fatto io, che appena arrivata a casa ho chiamato l'ASL e l'Ufficio d'igiene della mia città (è quest'ultimo, concretamente, a segnalare la tua quarantena alle autorità, ovvero il tuo medico di base e sindaco del tuo comune), e mi sono messa in quarantena dal primo minuto".

Martina, assistente di volo, nei cieli durante il lockdown

"Ho volato nel periodo del lockdown tra aprile e maggio, prevalentemente con passeggeri che tornavano a casa da ogni parte del mondo, facendo anche dieci o più scali. Era tutto surreale: gli aeroporti deserti (io lavoravo da Malpensa verso Francoforte), il silenzio irreale e noi bardati con mascherine e guanti per tutto il volo.

La parte più faticosa, essendo allora il nostro servizio di bordo sospeso, era quella burocratica, visto che dovevamo consegnare moduli ai passeggeri da compilare prima dell’atterraggio. Ognuno aveva la propria storia personale da raccontare, erano moltissimi gli studenti che rientravano da anni scolastici all’estero purtroppo interrotti.

Come sempre i passeggeri rappresentavano perfettamente un perfetto microcosmo antropologico con tutte le tipologie di persone: i menefreghisti, che nonostante l’obbligo di indossare la mascherina per tutto il volo tentavano di abbassarsela e addirittura togliersela; gli ipocondriaci, terrorizzati, pronti a segnalare a noi assistenti di volo chiunque non rispettasse le regole della distanza (allora si volava con capienza ridotta, un sedile sì e uno no, per provare a garantire un minimo di distanza di sicurezza tra le persone, regola che dal 15/06 in Italia è stata sospesa); i rassegnati e poi gli isterici, che esorcizzavano la paura sminuendo con sermoni a voce alta l’emergenza in corso. Insomma, una gamma variegata e ben rappresentata della popolazione generale. Come sempre, del resto, a bordo degli aerei. Mi è rimasta impressa una passeggera che è salita a bordo con i guanti che si usano per lavare i piatti!

Io ho dato la disponibilità a partire durante la pandemia perché a casa, da single ipocondriaca, mi sembrava di impazzire! A bordo mi sentivo stranamente “protetta” visto che avevamo mascherine iper-protettive (quelle che usano i medici), i passeggeri salivano tutti con mascherina e guanti, dopo essere stati sottoposti come noi naviganti al controllo della temperatura. E sopratutto per me era un modo per cercare di vivere un po’ alla mia “vecchia maniera”, seppur in condizioni nettamente diverse, anche durante le soste che facevamo a Malpensa nell’unico hotel aperto credo. Mi sono anche sentita utile in qualche modo, perché portavamo prevalentemente passeggeri che rimpatriavano e a fine volo la maggior parte ci ringraziava quasi commossa per averli riportati a casa.

Per noi “addetti ai lavori” volare durante il lockdown è stato proprio come fare un altro lavoro, nonostante in tempi normali siamo a bordo soprattutto per garantire la sicurezza dei passeggeri. Non poter interloquire con loro in modo normale e naturale, non dover correre per riuscire a terminare il nostro servizio di bordo classico con cibo e bevande, trovarsi a redarguire i passeggeri non più per la cintura slacciata ma per la mascherina mal indossata e soprattutto passare 8/10 ore mascherati con la paura anche solo di bere un bicchier d’acqua durante il volo ha reso il mio, il nostro, lavoro un’altra professione.

Purtroppo non volo da metà maggio, perché nonostante la lenta ripresa delle rotazioni della compagnia aerea per cui lavoro, dovremo stare in cassa integrazione a rotazione tutti per qualche mese. Per un’assistente di volo (almeno per me) è cambiata anche parecchio la vita in generale, essendo questa professione soprattutto uno stile di vita che si è brutalmente interrotto. Io mi sento proprio snaturata".

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