La musica è tantissime cose. Tra le molte, è anche riscatto. Baby Gang, all’anagrafe Zaccaria Mouhib, Zac per i compagni della comunità in cui vive, conosce molto bene questa parola. L’ha trovata tra le sbarre delle celle, numerose, che fin da piccolissimo hanno iniziato a estendere la propria ombra su di lui. Oggi è protagonista di una cronaca musicale che si intreccia alla perfezione, nella sua massima imperfezione, a quella giudiziaria. Uscito lo scorso marzo di prigione per una sparatoria che lo ha visto coinvolto la notte tra il 2 e 3 luglio 2022 in zona Corso Como a Milano, oggi Baby Gang sta scontando la sua pena nella Comunità terapeutica Il Gabbiano sul lago di Como.

Innocente (Atlantic/Warner Music Italy) è il suo secondo album: uscito il 26 maggio scorso e scritto in un solo mese una volta uscito di prigione, è arrivato subito nella TOP 3 degli album della Classifica FIMI/GFk raggiungendo oltre i 70 milioni di stream. Seguendo il filone di un successo, questa volta sostenuto anche dai grandi della scena urban (nel disco ci sono Guè, Emis Killa, Ghali, Lazza, Rondodasosa e il rapper francese Lacrim), Baby Gang ha voluto proporre il brano “Napoletano” nella versione remix al fianco del collettivo partenopeo SLF (Solo La Fam). Ha riunito così MV Killa, Lele Blade, Vale Lambo e Yung Snapp per lavorare a un brano in cui lo stesso Mouhib si è misurato nel dialetto campano. «Avevo dodici quando il 112/ Prese me e il mio amico per un furto di alcolici / Avevo tredici quando il 113 / Prese solo il mio amico perché non potevan crederci / Non potevan crederci fin quando ho fatto sedici».

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Baby Gang è il simbolo di una generazione sottorapresentata, nei suoi testi si trova il degrado urbano e si possono cogliere tante tematiche quante vite ha vissuto. Tre, secondo le sue parole: «Quelle delle sere in strada scambiato per un pusher, quelle delle notti a dormire sotto i ponti o nei sotterranei, quelle delle mattine a lavarsi alle fontanelle». E ora che la musica lo sta accompagnando in un nuovo percorso di vita, Baby Gang ne sta iniziando una tutta nuova, ma soprattutto diversa da ogni altra del passato. Nei suoi testi c’è il racconto crudo e spietato di una vita in bilico. Ed è il suo lessico estremamente semplice a rendere i suoi racconti diretti, veri, pungenti tanto da creare immagini potentissime.

Chi è Baby Gang?

Baby Gang, un nome che solo a scriverlo o a scandirlo sembra, di partenza, una condanna. Classe 2001, cresciuto nel Lecchese e di origini marocchine. La sua storia potrebbe sembrare la trama di quei film o serie tv che parlano di provincia, ragazzi alla disperata ricerca di uno stimolo che li possa portare a più di una semplice sopravvivenza. Zaccaria Mouhib, oggi riguarda al passato e riconosce i suoi errori, ma denuncia anche delle ingiustizie subite. A dieci anni scappa per la prima volta da casa: i litigi erano all’ordine del giorno nel piccolo e affollato bilocale in cui viveva a Calolziocorte con la madre, il suo compagno, i nonni e tre zii. Destinazione, Torino. «Non volevo più essere il più povero dei poveri, non potevo essere sfottuto per le mie scarpe bucate. Avevo questo vizio: dovevo per forza rubare», ha raccontato a Vanity Fair. A undici anni entra per la prima volta in comunità, a tredici il suo modo di vestirsi si avvicina a quello di Tupac e 50Cent, a quindici entra in galera per la prima volta. Inizia a respirare l’odore della prigione. Gli entra dentro. E quelle scelte, oggi, si riflettono nel suo presente: «Non mi sento al sicuro, ho paura che vengano ad arrestarmi. Non riesco a dormire, fino alle 5 sto sveglio perché a quell’ora arrivano i mandati di arresto. Alle 7, quando so che non vengono più, mi addormento», ha raccontato a Rolling Stone. Ventuno anni, con alle spalle vite diverse e con davanti, oggi, un foglio bianco su cui scrivere il suo nuovo inizio. Questo è Baby Gang.