Socialmente e mediaticamente, ci siamo abituati a pensare che esistano stupri di serie A e di serie B. Gli stupri di serie A sono quelli che avvengono secondo quello che, per decenni, ci hanno fatto credere fosse l'unico schema in cui la violenza sessuale si esplicava: uno sconosciuto, per strada, al buio. Sono quelli che, lungi dall'essere statisticamente i più comuni, generano clamore mediatico, i cui particolari vengono analizzati al telegiornale, da una parte il "mostro" dall'altra la vittima. Tutti gli altri, quelli che avvengono nel silenzio, nelle case, quando la ragazza è ubriaca e non va a denunciare il giorno dopo, sono stupri di serie B. Sembra che, nella nostra società, lo stupro sia valido solo quando può essere mostrato come monito e strumentalizzato. Sta succedendo questo, nelle ultime ore. A Piacenza, una donna ucraina è stata violentata da un uomo su un marciapiede e qualcuno ha filmato il fatto da una finestra. Il video è stato condiviso da alcuni esponenti politici, il consenso di quella donna è stato calpestato per la seconda volta.

stupro di piacenza perché non bisognerebbe diffondere il videopinterest
Insidefoto//Getty Images
Matteo Salvini e Giorgia Meloni

Giorgia Meloni, sui social, ha condiviso il video della violenza, sfocato per nascondere le persone coinvolte, ma con l’audio integrale delle urla della donna. Anche Matteo Salvini ha pubblicato un frame del video sottolineando che l'autore della violenza era un richiedente asilo. Ha parlato di «difendere i confini e gli italiani» mentre la segretaria di Fratelli d'Italia ha detto che farà tutto ciò che le sarà possibile «per ridare sicurezza alle nostre città». Lo stupro come questione di sicurezza, la sicurezza come tutela dei cittadini italiani dagli "stranieri", visti come minaccia. Non c'è interesse per la volontà della survivor che viene bypassata dalla strumentalizzazione politica. Non ci si interroga nemmeno sull'origine del video, che potrebbe segnalare un'omissione di soccorso.

Come fa notare Il Post, da un lato c'è una “razzializzazione della violenza sessuale” e dall'altro una spinta alle politiche securitarie tramite la paura. «La paura parla il linguaggio delle "inondazioni", dell'essere invasi da "altri" inadeguati, dai quali la Nazione deve difendersi», scrive l'accademica femminista Sara Ahmed nel suo libro Cultural Politics of Emotions «Si deve presumere che le cose non siano sicure, in sé e per sé, per giustificare l'imperativo di rendere le cose sicure». Questo è ancor più vero durante una campagna elettorale: «Dovrebbe essere un momento in cui si discute con i cittadini del futuro che si immagina per l’Italia», ha scritto su Twitter Lia Quartapelle, responsabile Esteri del Pd, «Sta diventando invece l’occasione di mostrare sui social il video di uno stupro. Fermiamoci. La discussione democratica è un’altra cosa».

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I dati a disposizione sulle violenze sessuali in Italia smentiscono l'idea che a compierle siano soprattutto cittadini stranieri immigrati e i movimenti femministi insistono da tempo sul carattere strutturale della violenza di genere che, lungi dall'essere un mero problema di ordine pubblico, ha radici socio culturali molto più complesse. Fa comodo, però, diffondere l'idea che basti il pugno di ferro per risolvere la questione: è un modo per rassicurare le donne e sollevare gli uomini dalla responsabilità, di nuovo a spese di una survivor, di nuovo servendosi di lei e della sua immagine a proprio uso e consumo.