Naveed ha una moglie, un figlio ed è gay. Vive a Kabul in un appartamento assieme al suo ragazzo che ha conosciuto chattando su Facebook. A raccontare la sua storia sul Telegraph è stata la giornalista Stefanie Glinski in tempi non sospetti, quando l’Afghanistan era ancora un paese di speranze per molte persone. Anche allora essere omosessuali era proibito dal codice penale, anche allora persone come Naveed dovevano vivere nascoste, raccontare la loro storia solo a pochi amici fidati per non rischiare violenze e ripercussioni in una società ancora estremamente conservatrice. "L'articolo 427 del codice penale afghano descrive il rapporto sessuale tra due uomini come sodomia e la punizione è una lunga reclusione" si legge sul blog dell'organizzazione Afghan LGBT . Fino al quel momento, però, c’era la voglia di cambiare le cose, passo dopo passo, uscendo gradualmente allo scoperto, creando una comunità che unita avesse la forza di farsi sentire. Oggi, con il ritorno dei talebani, tutto questo sembra ormai un sogno lontano e il grido d’aiuto della comunità afgana mostra tutta la gravità della situazione e non lascia spazio alla speranza: “Rischiamo lo sterminio solo per il fatto di essere ciò che siamo” è l’appello su Instagram dell’organizzazione Afghan LGBT “Vi esortiamo a concedere asilo alle persone LGBT afghane”.

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Sappiamo dal passato quale trattamento è riservato alle donne e alla comunità LGBT dai talebani. “Gli omosessuali saranno seppelliti sotto i crolli dei muri”, ha dichiarato qualche settimana fa il giudice talebano Gul Rahim al quotidiano tedesco Bild come riporta Gay.it. Ha spiegato che con la presa di potere e le norme della Sharia, tutelate dalla Costituzione, saranno ripristinate nella loro accezione più estrema "Le donne single saranno perseguitate, alle donne sposate non sarà concesso lasciare casa senza uno specifico permesso, ai ladri saranno tagliate mani e gambe". Alla domanda del giornalista tedesco su quali siano le pene previste dai talebani per le persone LGBT, il giudice Rahim ha dichiarato che esistono due opzioni: "Per un omosessuale possono esserci la lapidazione, oppure può essere seppellito sotto il crollo di un muro". Sono parole che, per quanto scritte nero su bianco, stentiamo ancora a credere possano essere vere. Al contempo mostrano quanto il pericolo sia reale e spingono a interrogarsi su quale possa essere il nostro ruolo in tutto questo. La richiesta di aiuto di Afghan LGBT è chiara: i paesi occidentali devono accettare le richieste di asilo.

Come riporta Open, il sito Advocate racconta l'iniziativa di un ragazzo di Dublino che sta organizzando una raccolta fondi su GoFoundMe per il suo amico Amid, un ragazzo omosessuale di 25 anni di Kabul perché "possa viaggiare in modo sicuro e legale in Turchia e iniziare il suo viaggio lontano dalla persecuzione e dal rischio di essere ucciso per il solo motivo di essere se stesso". Sempre secondo Advocate, è fondamentale fornire supporto alle organizzazioni che sostengono gli sfollati e i rifugiati LGBT+, mentre Pietro Turano attivista e portavoce di Gay Centre chiede "Corridoi umanitari immediati per la popolazione afghana in pericolo e l’impegno dei governi occidentali nell’accoglienza e nella protezione delle fasce attualmente più esposte". Non possiamo voltarci dall'altra parte, il pericolo per migliaia di cittadini afghani - donne, bambini, persone omosessuali, persone trans - è ormai reale.