Fanno male gli articoli - le notizie che da giorni si susseguono come un flusso continuo - fanno male le immagini, i video, fanno soffrire le testimonianze, le richieste di aiuto delle donne afgane - quelle che ormai sanno il futuro che le aspetta sotto i talebani e quelle che possono solo immaginarlo. Forse ancor di più, però, ci angosciano le comunicazioni che si interrompono, il senso di vuoto lasciato dalle attiviste che smettono di rispondere, cancellano i loro profili social e di colpo diventano irreperibili. "Sono A Kabul", risponde su Whatsapp Zarifa Ghafari la sindaca più giovane dell'Afghanistan, poi silenzio. "Sono seduta qui ad aspettare che arrivino" spiega in un'intervista ad iNews. È l'ineluttabilità di quello che sta accadendo in Afghanistan che non riusciamo ad accettare, il fatto che sia solo questione di tempo.

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La testimonianza di Ghafari è particolarmente dolorosa proprio in questo senso: la ventisettenne ha spiegato ai giornalisti di essere ormai certa che quando i talebani la troveranno la uccideranno, eppure allo stesso tempo non c'è modo di scappare. "Sto semplicemente seduta qui con la mia famiglia e mio marito", ha detto, "Verranno per le persone come me e mi uccideranno. Non posso lasciare la mia famiglia. E comunque, dove andrei?". Le abbiamo viste tutti le immagini strazianti all'aeroporto di Kabul dove i cittadini si sono riversati nella speranza di riuscire a lasciare il Paese: Ghafari sembra invece rassegnata e allo stesso tempo risoluta, con quella stessa forza con cui negli anni passati si è fatta portavoce dei diritti delle donne credendo fermamente nella possibilità di costruire quel futuro che ora sembra improvvisamente lontanissimo. Nel 2014 ha fondato un'organizzazione per promuovere l'istruzione e i diritti delle donne, nel 2018 è diventata la più giovane sindaca del Paese nella provincia di di Maidan Wardak, Washington le ha consegnato il premio come Donna coraggiosa del 2020 e nel 2019 la BBC l’ha inserita nella lista delle 100 donne più influenti del mondo. Ora, però, è sola: "Non c'è nessuno che aiuti me o la mia famiglia" dice ai giornalisti.

Anche la stessa Ghafari non si aspettava una caduta così rapida dell'Afghanistan in mano ai fondamentalisti e solo il mese scorso si era detta fiduciosa: "Questo è un vero Paese", aveva dichiarato a iNews, "Mi piace davvero la mia vita. Amo quello che faccio. A volte è molto difficile, ma è anche gratificante". In poco tempo tutto è precipitato, ieri c'è stata la conferenza stampa in cui i talebani hanno annunciato la presa di potere nel Paese. Il portavoce Zabihullah Mujahid ha detto che le donne verranno tutelate "nel rispetto della Sharia", ma sono già molte le testimonianze di rapimenti di ragazze, uccisioni e matrimoni forzati. Le donne non escono per le strade e aspettano il loro destino distruggendo i documenti dell'Università e i libri più compromettenti, nascondendo gli smartphone e procurandosi i burqa per coprire il volto. Contattarle è sempre più difficoltoso, ma le loro voci non possono essere lasciate nel silenzio. "Ho combattuto per i miei diritti e per i diritti di tutti gli afgani e non mi fermerò mai", ha dichiarato Ghafari. Le donne afghane non si arrenderanno, non abbandoniamole.