Finalmente i Giochi Olimpici di Tokyo 2020 sono iniziati e nsoi non vediamo l'ora di fare il tifo per i nostri atleti. Detto questo, però, tanti sono i dubbi e le curiosità sulla tanto attesa manifestazione. Tipo: secondo voi l'edizione di quest’anno la potremmo davvero considerare pienamente inclusiva? La risposta è no. Scopriamo il perché.

Nelle ultime settimane ha fatto molto discutere il battibecco tra l’azienda di cuffie inglese Soul Cap e la FINA (Federazione internazionale del nuoto) perché Soul Cap vende diversi modelli di cuffie, adatti per tutti i tipi di capelli, in particolari per quelli afro, dreadlokcs e trecce. Vi è mai capitato di dover indossare in piscina le scomodissime e antiestetiche cuffie in silicone? Quanto tirano i capelli? Quanto sono poco pratiche da indossare se si ha una chioma voluminosa, capelli afro, trecce o dread? Quant* ragazz* hanno rinunciato al nuoto per questo motivo?

Nonostante la voglia di cambiare le regole di questa azienda (nata nel 2017 dall’intuizione di due migliori amici, Michael Chapman e Toks Ahmed-Salawudeen), la FINA ha negato la certificazione per il loro utilizzo durante le Olimpiadi e le leghe inferiori del nuoto agonistico. Secondo un comunicato stampa di Soul Cap la FINA avrebbe rifiutato la certificazione perché gli atleti che gareggiano negli eventi internazionali non ne hanno mai richiesto l'uso e ha descritto le cuffie come inadatte perché non "seguono la forma naturale della testa".

"Gli atleti che gareggiano negli eventi internazionali non ne hanno mai richiesto l'uso"

Chapman e Ahmed-Salawudeen non si aspettavano una tale risposta. Speravano di promuovere un lavoro basato sulla valorizzazione della diversità in modo che i nuotatori non avrebbero più dovuto scegliere tra lo sport amato e i loro capelli. Per i nuotatori più giovani sentirsi inclusi in uno sport è fondamentale.

Critiche e proteste non sono tardate ad arrivare. La fondatrice dell’Associazione britannica di nuotatori neri, Danielle Obe, aveva detto al Guardian, che la decisione della FINA rispecchiava una realtà fatta di disuguaglianze all’interno del mondo del nuoto. Due anni fa Alice Dearing, prima nuotatrice nera del Regno Unito a partecipare alle Olimpiadi, aveva confidato alla BBC che capiva come mai non ci fossero così tante ragazze nere a nuotare. Molte di loro erano e sono scoraggiate per via dei problemi legati ai capelli.

instagramView full post on Instagram

Anche il mondo politico ha preso parte alla discussione. Samira Rafaela, eurodeputata olandese, ha scritto una lettera firmata da altri esponenti del Parlamento Europeo, in cui si accusa il Comitato olimpico internazionale (CIO), di avere "strutture e regole istituzionali che escludono le persone di colore e le donne di colore in particolare". Per lei è arrivato il momento di cambiare le regole. Ed effettivamente qualcosa è successo. La FINA ha recentemente dichiarato di impegnarsi a garantire che tutti gli atleti acquatici abbiano accesso a costumi da bagno appropriati per le competizioni e che ha compreso l’importanza dell’inclusività. Quindi no, per le Olimpiadi di quest’anno non vedremo cuffie Soul Cap in acqua ma il dialogo rimane aperto.

La FINA si è infatti scusata direttamente con Chapman e Ahmed-Salawudeen e ha offerto il suo pieno supporto per aprire una finestra di dialogo da settembre. Un piccolo passo per una grande rivoluzione. Perché se vuoi reinventare gli spazi devi riscrivere le regole.