Hai presente il ping pong e quelle partite con gli amici al mare, quando eravate stufi di stare in spiaggia? Se ti stai chiedendo cosa c'entra con le Olimpiadi, significa che in realtà non ne sai nulla. Come, del resto, non ne sapevo nulla io fino a poche settimane fa, nonostante da bambina mi ci sia divertita parecchio. Perché se lo fai sul serio, non è un passatempo. Si chiama tennistavolo ed è uno sport vero, con una sua Federazione iscritta al Comitato olimpico nazionale italiano (Coni). Proprio così, è una disciplina olimpica fin dal 1988. Ma questa è solo una delle tante cose che ho scoperto giocando per un giorno (in realtà molto meno) con Marco Rech, 22 anni (1,83 m di altezza per 72 kg di muscoli e riflessi), il numero uno in Italia del tennistavolo. Ecco le altre.

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Eccomi con Marco Rech, il numero uno del tennistavolo italiano

1. Il tennistavolo è lo sport più praticato nel mondo

In Italia, sebbene il ping pong sia molto diffuso, la Federazione Tennistavolo conta appena 10mila iscritti (stando agli ultimi dati di fine 2015). Un numero davvero modesto, se paragonato all'oltre 1 milione di chi pratica calcio o ai quasi 400 di chi fa pallavolo. È a livello globale che il tennistavolo si prende la rivincita, e lo fa con numeri impressionanti: nel mondo questo sport conta su 40 milioni di giocatori a livello agonistico e addirittura trecento milioni amatoriali.

2. È come giocare a scacchi facendo i 100 metri

È la definizione più amata dagli addetti ai lavori quando devono spiegarti che cos'è il tennistavolo a livello olimpico e allo stesso tempo farti capire che tutto quello che credevi di sapere su questo sport è probabilmente sbagliato. Perché, appunto, si tratta di uno sport, non di un gioco. Una disciplina che può essere praticata da chiunque, ma che ai livelli più alti unisce concentrazione, coordinazione, capacità tattica e prontezza di riflessi a doti atletiche da velocista. 

3. La pallina raggiunge velocità impressionanti

Durante una partita tra professionisti la pallina può raggiungere anche i 100 chilometri orari e il tempo medio di ogni scambio è di 3.4 millesimi di secondo. Certo, complice un avversario clemente, puoi anche palleggiare da ferma e al rallentatore (come ho fatto io, del resto), ma quando il gioco si fa duro, i pongisti corrono. E parecchio.

4. Il giocatore di tennistavolo si chiama pongista

Ignori cosa siano i pongisti? Nemmeno io lo sapevo, ma i giocatori di questo sport si chiamano così. Sì, hai capito bene: la disciplina è il tennistavolo, chi la pratica è il pongista. Ma perché, allora, non chiamarlo direttamente ping pong? Non sarebbe più semplice e, perché no, coerente? La domanda sorge spontanea. Ma è meglio non farla. Gli adepti del tennistavolo ti potrebbero addirittura guardare storto. Perché il ping pong è un gioco, l'altro è uno sport. Punto.

5. Una partita olimpionica può durare 50 minuti

Naturalmente il tennistavolo praticato dai campioni ha le sue regole. Alle Olimpiadi, per esempio, ogni torneo (individuale, doppio e a squadre, maschili e femminili) prevede 7 set: vince chi se ne aggiudica 4. Per quanto riguarda il punteggio, per ogni set si arriva a 11. In caso di pareggio, ovvero 10 e a 10, per aggiudicarsi la partita occorre totalizzare 2 punti più dell'avversario. In media, un match olimpionico molto combattuto può durare anche 50 minuti. Io in una partita di riscaldamento con Marco so già che non arriverei a 2.

6. Se sei una brava, la racchetta te la assembli tu

Hai presente la racchetta da ping pong? Be' quella da competizione è un'altra cosa. Ha pure lei il telaio di legno (il brand più cool è giapponese e si chiama Butterfly), ma con rinforzi in carbonio, balsa o fibra di vetro, e la vera differenza la fanno le coperture di gomma (liscia o puntinata) su entrambi i lati, una rossa e l'altra nera per regolamento (così distingui i lanci dritti dai rovesci), omologate dalla Federazione Internazionale Tennis Tavolo (ITTF). Dato che giocando si usurano, le gomme vanno cambiate spesso. Ci crederesti che a occuparsene è il pongista stesso? Acquistare i fogli, tagliarli su misura (il telaio non è standard) e applicarli con una colla speciale è un vero rito, anzi, un gesto d'amore.

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I veri pongisti incollano da sé le gomme alla propria racchetta: usano una colla a base d\'acqua che va stesa con speciali applicatori

7. Prima della gara c'è il racket control

Basta una frazione di millimetro in più o in meno di gomma (non deve superare i 0,4 mm di spessore) e sei fuori. Ciò che agli occhi di un profano (io per esempio) può sembrare un niente, infatti, in una partita olimpionica può falsare i risultati. Per questo, prima di ogni gara i giocatori sottopongono la racchetta al racket control, ovvero alla misurazione degli spessori delle gomme. Grazie a un particolare sensore, poi, gli ispettori controllano anche che sulle racchette non ci siano tracce di una colla un tempo molto usata, oggi vietata perché cancerogena. Il fatto è che questo prodotto ha anche un effetto performante, quindi ogni tanto c'è qualche disonesto che ci prova. Proprio così, il doping nel tennistavolo è nella racchetta!

8. Ogni campione ha almeno tre racchette

Non è affatto raro scoprire di non essere in regola al racket control per una microscopica frazione di spessore, tanto più che come ormai sappiamo la confezione della racchetta è fai da te. Nel caso, la prima volta c'è sempre la possibilità di cambiare racchetta, ma se pure questa si rivela fuorilegge arriva la squalifica. Per questo i campioni sono molto attenti nella cura del proprio strumento di gioco e arrivano alle gare con diverse racchette di scorta. Marco, per esempio ne ha sempre tre (uguali e identiche), ma da 4 anni usa sempre la stessa. 

9. Giocare dal lato preferito può essere importante

Ogni incontro inizia con il lancio della monetina (in realtà un gettone bicolor): chi indovina può scegliere il lato del tavolo preferito oppure il diritto di decidere se servire (lanciare la palla) o ricevere per primo. Io, da eterna principiante, non avrei dubbi nell'accaparrarmi quest'ultimo, nel timore di un cappotto ai primi due servizi (ogni giocatore ne effettua due consecutivi per tutta la partita). Marco Rech, che invece è un vero campione, di solito sceglie il lato del tavolo.

10. Per arrivare al top ti alleni 7 ore al giorno

Il tennistavolo ai livelli più alti richiede molta dedizione. Marco, che gioca nella squadra campione di serie A1, ASD Tennistavolo Castel Goffredo (un paese in provincia di Mantova), si allena ogni giorno per 6-7 ore, mattina e pomeriggio, spesso fino alle otto e mezzo di sera. Oltre a esercitarsi con la racchetta, segue una preparazione fisica specifica che comprende esercizi per le gambe e la reattività, circuiti con ostacoli e squot. «Con le gare competitive ho iniziato a 9 anni, ma la prima volta che ho impugnato una racchetta per giocare con mio padre ne avevo 6», mi racconta. Tutto ciò non gli ha impedito di diplomarsi e frequentare la facoltà di Economia a Parma.

11. Il colpo più micidiale è il topspin

Potente e diretto, il topspin (cioè tiro alto; spin nel linguaggio del pongista significa effetto o rotazione, che è poi la base del ping pong) è il colpo più importante e lo puoi eseguire sia dritto sia rovescio. Se te ne spara uno il tuo avversario, e riesci a rispondere, hai due possibilità: o ribatti con un block oppure ripieghi con un controtop. Non hai capito niente? Nemmeno io. Però in teoria è tutto giusto, te l'assicuro. Guarda il video dove Marco si allena con il suo compagno di squadra Cheng Qian: magari riesci a riconoscere un paio di topspin.

12. Le palline sono certificate

I pongisti sono tipi molto precisi, quindi anche le palline non sfuggono al loro controllo, specie se si tratta di competizioni internazionali così importanti come le Olimpiadi. «Un tempo erano di celluloide, ora sono di plastica», mi informa Alfonso Laghezza, preparatore atletico di Marco Rech e di tutto il team Castel Goffredo. Quelle regolamentari recano la scritta 40 mm, che è il loro diametro.

13. I cinesi vincono sempre

Pensi al tennistavolo, e chissà perché ti vengono in mente i cinesi? La tua intuizione (forse condizionata da qualche vecchio telegiornale) è corretta. Sono loro a farla da padroni in questo sport: in pratica vincono a tutte le Olimpiadi e in ogni categoria. In parte, è merito di Mao Tse Tung: negli anni Cinquanta lo ha dichiarato sport nazionale diffondendolo in tutto il Paese. Che, essendo uno dei più popolosi del globo, oggi può contare su milioni di giocatori (ecco spiegato perché il tennistavolo è lo sport più diffuso nel mondo...). Tra loro c'è Ma Long, attualmente il pongista più forte del mondo: è il numero 1 del raking dell'ITTF (sì, funziona come nel tennis).

14. Ci sono due modi di impugnare la racchetta, ma uno è migliore

Avendo fin da bambina tenuto la racchetta banalmente all'occidentale, ho sempre considerato un segno di eccezionale bravura riuscire a tirare alla cinese, ovvero con l'esotica impugnatura "a penna". Meno male che non mi sono data pena di cambiare mood, costringendomi magari a sfibranti allenamenti. «L'impugnatura cinese è stata abbandonata perché in realtà riduce le possibilità di giocare di rovescio», mi apre gli occhi Alfonso Laghezza.

15. Mai sfidare Susan Sarandon

L'attrice cult di The Rocky Horror Picture Show è una pongista sfegatata. E grazie a lei, negli Usa il tennistavolo è diventato uno sport anche molto cool. Susan Sarandon, infatti, nel 2009 insieme a un socio ha aperto a New York lo SPiN, un social club con 17 tavoli da gioco fissi, ristorante e discoteca, dove ci si può sfidare fino alle 4 del mattino. Il successo è stato tale che oggi ne ha aperti altri quattro, a Los Angeles, San Francisco, Toronto e Chicago. Nel 2014 ha pure girato un film a tema: Ping-pong Summer. Il suo ruolo? L'allenatrice di ping pong, ovvio. Del ping pong dice:

«Chiunque può giocare: non ci sono limitazioni né di età, né di genere, né di forma fisica. La ragazzina minuta può sconfiggere il tipo tutto muscoli: mi piace come filosofia».

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Susan Sarandon a un torneo dello SPiN di New York, il primo dei numerosi club di ping pong che ha fondato

16. È una questione di feeling

Susan naturalmente ha ragione: non sono i muscoli a fare la differenza, ma la "sensibilità". «Chi è più portato per questo sport possiede di base un feeling particolare con la pallina, per cui riesce a calibrare perfettamente i lanci», mi spiega Laghezza. «Non a caso, di un bravo giocatore si dice che "ha una bella mano", ovvero riesce a mandare la pallina come e dove vuole lui». È una questione così personale, che ciascun pongista si distingue per il proprio stile: c'è chi gioca d'attacco, chi di controllo, chi serve lanciando altissimo...

17. Ti fa bruciare parecchie calorie 

Secondo uno studio dell'Istituto di Scienza dello Sport del Coni, in un'ora di gioco un uomo che pesa 70 kg arriva a bruciare circa 280 kcal. Fatte le dovute proporzioni, anche una ragazza normopeso, se ci dà dentro, potrebbe trarne benefici. Senza contare che il tennistavolo offre un ottimo esercizio cardio-vascolare che alterna attività aerobica e anaerobica. Potenzia il tono muscolare, migliora forza, velocità e resistenza e favorisce la coordinazione, specie degli arti inferiori. Una recente ricerca giapponese, inoltre, conferma che è un efficace antistress: libera le endorfine, i neurotrasmettitori del buonumore, combatte le tensioni e favorisce la creatività. I nerd della Silicon Valley lo sanno già anni.

18. Ed è anche una filosofia di vita

Te lo spiega molto bene un libro dal titolo curioso, La metafisica del ping-pong, di Guido Mina di Sospiro (Ponte alle Grazie, € 16,80). L'autore, grande appassionato di tennistavolo, è italiano ma vive negli Usa da diversi anni. Dove gioca ogni volta che può, anche nel mitico SPiN di New York. Con semplicità e senso dell'umorismo, ti introduce a questo sport svelandoti aneddoti curiosi, storie divertenti e riflessioni sorprendenti sulla "magia della palla rotante". Una vera filosofia di vita, anzi una forma di meditazione attiva che ti allena al pensiero laterale.

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Adelaide Barigozzi
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Reporter d'assalto e corrispondente dai Tropici in una vita precedente, oggi per Elle scrivo di attualità (ma non solo). Dopo 9 traslochi (tra cui uno transoceanico), ora ho piantato le tende a Milano, ma non mi tiro indietro se c'è un buon motivo per rifare le valige. Colore preferito: azzurro. Comfort zone: la spiaggia di Agrio Livadi a Patmos.