Monica Bellucci e Vincent Cassel si sono lasciati. Lo so, non inarcare le sopracciglia: sono un po' più grandi rispetto alle coppie di cui ci occupiamo di solito. Il fatto è, vedi, che quando una coppia del genere si lascia non si può fare a meno di parlarne. Prima di tutto, perché Monica Bellucci al momento è l'unica nostra attrice internazionale. E poi perché i due sono stati insieme 17 anni (14 di matrimonio, più 3 da fidanzati), che in anni vip equivale praticamente a un secolo. Sono due motivi più che sufficienti per interessarsi al loro amore appena finito, no? Esatto. Il motivo più interessante, però, è un altro: il loro ménage.

Ecco, prima di andare a dettagliartelo, vorrei fare un mini excursus biografico. Allora: Monica Bellucci nasce a Città di Castello, nella bella bellissima Umbria, e cresce bella come quella regione lì. Diventa modella, e poi attrice. Sulle sue qualità recitative non ho molto da dire, se non che io sono una ragazza facilmente condizionabile e quindi, pur consapevole del fatto che non sia Meryl Streep, visto che Monica mi sta simpatica ho deciso anche, senza lasciare agli altri la possibilità di contraddirmi, che negli ultimi anni è molto migliorata (se non sei d'accordo, bada: ho un elenco di gente molto più cagna da sottoporti; in alcuni casi gente che ha pure studiato a lungo recitazione, e quindi è cagna in modo ancor più colpevole e criminale). Nel 1996, girando il film L'appartamento, conosce Vincent Cassel, che è nato il mio stesso giorno (23 novembre, del 1966, cioè 19 anni prima di me), ed è figlio dell'attore Jean-Pierre, morto nel 2007. Cassel è un nome d'arte per entrambi: il vero cognome di Jean-Pierre, e quindi di Vincent, era Crochon.

Fatta questa piccola premessa, torniamo al loro ménage: è sempre stato piuttosto strano, almeno a stare a sentire le numerose interviste rilasciate da Monica a vari giornali. Strano nel senso che nessuno dei due, a quanto dice lei, ha mai chiesto all'altro conto di nulla. Non un «dove vai», non un «con chi sei uscito, e che diamine?». Nessuno dei due, insomma, ha mai rotto le palle all'altro. Non dico che si debba arrivare a controllare il cellulare, anche perché io, per esempio, ho deciso che, quando sarò fidanzata/sposata (ho messo un quando e non un se per dimostrare fiducia nei poteri dell'universo) non lo farò mai: non per rispettare la privacy del mio lui (hahaha), ma per rispetto di me stessa, e dell'ansia che mi genererebbe non tanto il trovarci effettivamente qualcosa, ma più che altro il pensiero di poterci trovare qualcosa. Ho deciso che è meglio vietarselo e basta, e chiuso il discorso. Il vantaggio-bonus è che così rispetterò anche la privacy di lui e farò la figura della persona sempre onesta e fiduciosa, per nulla sospettosa, né indagatrice. Che cosa stavo dicendo? Ah, sì: il loro ménage è sempre stato strano, non si son mai chiesti niente, e, quando uno dei due era via a girare qualche film, l'altro non voleva sapere nulla di che cosa stesse facendo. In teoria è una scelta di vita molto razionale e molto pratica, soprattutto se stiamo ad ascoltare tutti quei blablabla di chi dice che la fedeltà è una scelta sociale, e non naturale. In pratica, però, non ha funzionato.

Ci sono due morali (oltreché due bimbe, Deva e Léonie) in questa storia.

La morale brutta, quella che ci lascia atterrite, è: non ha funzionato neanche così. Non ha funzionato nemmeno lasciandosi l'un l'altro la massima libertà, il massimo respiro. E quindi, se non ha funzionato neanche così, c'è un amore, c'è, o dio del cielo, o dio dei mondi e degli abissi, o tu che stai a guardia delle costellazioni e delle anime, c'è, san Patroclo e san Callisto, e santa Barbara delle guglie e santa Berengaria cunegonda martire, un amore destinato a durare?

C'è anche una morale bella, o, se non altro, la morale del sollievo: se non è durata neanche così, allora vuol dire che siamo tutte autorizzate a essere le scassacazzi che siamo davvero, nel più profondo della nosra anima. Perché tanto, se deve finire, finisce. Indipendentemente da quanto si sia rompiscatole noi.