Per tutta la vita, ho vomitato ai primi appuntamenti. Una volta al liceo un ragazzo che mi piaceva è venuto a casa mia a guardare un film e non appena ha fatto la "mossa" (quello sbadiglio – allungamento del braccio per avvicinarsi) ho sentito lo stomaco in gola e sono scappata dal divano.

«Devo fare la pipì, vuoi qualcosa da bere?» sono le uniche cose che sono riuscita a dire prima di scappare in bagno, cercando di non fare nessun rumore. Testa nel water, abbracciando la tazza mi sono chiesta quale sarebbe stata la mia prossima mossa. Come si fa a spiegare che il tuo corpo si sta preoccupando insieme alla tua mente chiedendosi se cacciarlo di casa o farlo rimanere? Mi sono lavata i denti e la faccia in tempo record prima di tornare da lui.

«Ho brutte notizie, credo di aver preso un'intossicazione alimentare, quindi è meglio se torni a casa».

«Intossicazione alimentare?», mi ha chiesto sospettoso. Confuso e con la coda tra le gambe se ne è andato a fatica e io mi sono sentita imbarazzata, sollevata e delusa in egual modo. Soprattutto perché non appena uscito dalla porta, il mio stomaco è tornato perfettamente normale.

Ho avuto attacchi d'ansia tutta la mia infanzia prima ancora di sapere che cosa fossero o come si chiamassero. Mi ricordo che sdraiata a letto alle scuole medie e tutto avevo paure improvvise che il mio cuore smettesse di battere e il mio stomaco si attorcigliava all'idea di poter morire prima della pubertà. Lo stress e l'ansia hanno continuato a tormentare il mio stomaco negli anni, a tal punto da farmi andare solo ad appuntamenti senza cibo che avrei potuto rigurgitare. Mi sarei sentita troppo in colpa. Una volta al cinema un ragazzo mi ha offerto uno spicchio d'arancia e il solo pensiero mi ha messo in ansia non sapendo come il mio corpo avrebbe reagito.

Un ragazzo appena conosciuto non avrebbe mai potuto comprendere la delicatezza del mio stomaco. I miei amici invece? L'equivalente di una nonna amorevole e preoccupata al tempo stesso correvano a prendermi un pezzo di pane o un succo di zenzero, sapendo che quando scappavo era perché il mio stomaco mi stava facendo impazzire. Non hanno mai messo in dubbio il problema, ma hanno sempre accettato il fattaccio anche se frustrante e noioso. Un amico addirittura mi è stato di fianco tutta una sera mettendomi dei panni bagnati sulla fronte per farmi passare la nausea.

Crescendo, con l'aiuto del mio gastroenterologo e del mio psicologo, ho identificato che il problema alla base era la mia costante ansia. Lo stress ha trovato un modo di distruggermi fisicamente con l'aiuto di reflusso acido e gastrite e gli appuntamenti sono spesso stati il motivo principale di tutto questo stress.

Come fai a dire ad un ragazzo «Ciao, se vomito non ti preoccupare, è solo perché mi dai le farfalle allo stomaco». Sono uscita con un ragazzo che dopo un po' di tempo mi ha detto: «Hai sempre qualcosa allo stomaco e credo sia tutto nella tua testa!». E ricordo di avergli risposto: «Si, questo è il vero problema!». Nonostante tutto la sua mancanza di comprensione nei miei confronti è stata la ragione per cui abbiamo finito di frequentarci, ma anche la ragione per la quale sono sempre stata abbastanza riservata sui miei problemi.

Mi porto dietro qualche anti acido in borsetta, sempre. Ho imparato a capire cosa mi fa stare male e cosa meno, ma è sempre stato difficile aprirmi al riguardo. Finché ad un appuntamento questo ragazzo mi ha scortata in bagno al grido «devo vomitare», ha curato la porta e controllato stessi bene. Un'altra volta durante un weekend fuori porta ha messo gli asciugamani dell'hotel nel microonde per tenere caldo il mio stomaco prima di correre in farmacia a comprare del succo di zenzero e cotanto di peluche come sorpresa.

Col tempo, ho realizzato che nella nostra relazione il mio stomaco aveva smesso di fare le bizze perché potevo aprirmi e parlare dei miei problemi sentendomi rilassata, senza inventare scuse ridicole. Il mio livello di comfort con lui ha raggiunto quello con gli amici, cosa che non dovrebbe mai mancare in una relazione dove uno dei due soffre per un qualsiasi motivo. Anche se la relazione è finita, siamo rimasti amici e quando ci sentiamo ancora mi chiede «Ha resistito bene il tuo stomaco?», se gli racconto di qualche altro appuntamento. Questo mi fa ricordare che tutte le relazioni dovrebbero essere così, e questo dovrebbe essere lo standard.

Se qualcuno non può comprendere la tua sofferenza fisica o mentale, grande o piccola che sia, vuol dire che è la persona sbagliata che non ti accetta per quello che sei. Recentemente, quando gli amici mi chiedono «hai già vomitato a casa sua?», sono felicissima di poter rispondere con un felice e promettente «no».

DaCosmopolitan US