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Ci sono certe domande alle quali è davvero molto complicato riuscire a dare una risposta. Tipo: «Esiste una vita dopo la morte?», oppure: «Meglio le pump rosse o quelle nere?». E poi c'è la Domanda, quella con la D maiuscola, che manda in tilt i neuroni di qualunque ragazza si trovi nella mia attuale situazione: «Tu sei in coppia?». Questa volta è Lorenza, un'amica che non vedo da un anno, a pormi il quesito cruciale. E io vado in palla. Uh... no. Non proprio. Cioè, mi vedo con un ragazzo, ma non stiamo insieme. Non ne abbiamo mai parlato, in effetti. E lei: «Un trombamico, insomma!». Be', no, facciamo anche altre cose insieme: andiamo fuori a cena, al cinema, a vedere delle mostre... Lorenza inarca un sopracciglio: «È il tuo fidanzato, quindi».

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Ehm, no, non è solo una storia di letto, ma non è nemmeno quel che definirei una relazione vera e propria. «E cos'è, allora? Da quanto va avanti?», mi incalza lei. Un po' più di due mesi... Non lo so cos'è, non ci preoccupiamo di appiccicare un'etichetta ai nostri incontri! «Be', se ti va bene così... ma cerca di stare attenta, almeno. Quando si è in queste situazioni, è facile che uno dei due si ritrovi a essere più coinvolto dell'altro, e dopo sono dolori».

I primi dubbi

Quando non sai come definire una relazione, i casi sono due: o ti va bene così perché in fondo non sai nemmeno tu quel che vuoi veramente, oppure ti angosci chiedendoti che cosa abbia in mente l'altro e hai paura di restare ferita. Nel mio caso, con Dario non mi ero ancora posta la questione. Ci siamo incontrati a una festa, mi ha chiesto il numero di telefono, siamo usciti a cena, siamo finiti a letto, ci siamo rivisti il giorno dopo. In seguito, ci siamo incontrati un po' meno spesso, ma sempre almeno una volta alla settimana. Però, anche se so di piacergli, lui non sembra considerarmi la sua ragazza. Non ho mai conosciuto uno solo dei suoi amici, per dirne una. E ci sono giorni in cui è in silenzio radio. Non mi dice mai parole particolarmente tenere, non mi rivolge piccole attenzioni... E io non oso chiedergli niente, mi sembrerebbe di fare i capricci, come se non avessi veramente il diritto di aspettarmi qualcosa, dato che non ci siamo mai detti chiaro e tondo che stiamo insieme. Mi domando come siamo finiti in questa situazione.

Quello che conta

Per cercare di capire quello che manca alla mia relazione, mi domando: cosa definisce una coppia? L'esclusività, la gelosia, la fedeltà? Secondo la psicologa Stéphanie Frémont, è semplicemente «il desiderio profondo di stare con l'altra persona per creare una relazione duratura». Applicare questa definizione alla lettera sarebbe la soluzione più elementare: se si resta a metà strada, è perché uno dei due non vuole andare oltre. Eppure, attorno a me vedo tante "pseudo-coppie" in questa situazione, e spesso ci rimangono per mesi... Sì, può darsi che Dario non voglia niente di più, ma perché restare con qualcuno, se non se ne sente il desiderio? Incontro Vittorio, un amico esperto di relazioni complicate, che mi assicura: «Mi sono trovato in questo tipo di limbo sentimentale con una ragazza qualche mese fa. Non mi mancava il desiderio di stare con lei, ma volevo aspettare di essere sicuro». Sicuro di cosa? «Che fossimo compatibili, che valesse la pena buttarsi...». E com'è andata a finire? «Dopo tre mesi, lei mi ha chiesto che intenzioni avessi, e io non me la sono sentita di ufficializzare la nostra storia. Così abbiamo smesso di vederci». Quindi tu non ne avevi realmente voglia, giusto? E perché non glielo hai detto prima? «Non volevo mettermi pressione, tutto qua!». Non volevi metterti pressione o non volevi correre il rischio?

E se fosse solo paura?

Per Stéphanie Frémont gli uomini come Vittorio, recalcitranti a definire una relazione, temono l'impegno: «Se uno dei partner vede la coppia come una prigione, cercherà di evaderne». Però è anche vero che tutti abbiamo bisogno di affetto: «Oggi si cercano due cose contraddittorie: da una parte la libertà individuale, la possibilità di godersi la vita senza intralci, e dall'altra l'intensità emozionale». Ma nonostante questa fantasia del partner ideale, spesso non ci concediamo il tempo di imparare a conoscere qualcuno perché ci prende il panico. «Conoscere l'altro significa correre il rischio di innamorarsi», spiega l'esperta. «Perciò, bisogna accettare di rivelarsi fallibili, incompleti. Oppure, si può tenere l'altro a distanza per conservare l'illusione della propria infallibilità, come se non si avesse bisogno di nessuno – se non, forse, per soddisfare i bisogni sessuali».

Tutta colpa delle app di incontri?

Viviamo in un mondo nel quale la maggior parte delle relazioni passa attraverso Tinder o Happn: la tecnologia ci offre moltissime opportunità d'incontro, a scapito del romanticismo. Si sa di poter trovare di meglio, velocemente e con facilità. Secondo Stéphanie Frémont, è un circolo vizioso: «La paura di avere sbagliato partner talvolta spinge le persone a cercare un ideale complementare col quale l'intensità sarà ancora più forte». Che siano proprio queste app le colpevoli della refrattarietà all'impegno? Ci hanno instillato il terrore di sbagliare persona? Voglio indagare: torno da Vittorio, che è molto attivo su Tinder. «Per circa un anno ho avuto incontri a ripetizione, poi però mi ha un po' nauseato», mi dice. «All'inizio hai l'impressione di avere una scelta illimitata, vedi un sacco di ragazze, ma a lungo andare è stancante, e non ne ho mai trovata una che fosse davvero giusta per me». Oh. Qual è il tuo problema, allora? Vittorio ride: «Ognuno ha le sue magagne. Per quel che mi riguarda, immagino sia semplice: non sono pronto per una relazione di coppia, e così faccio in modo che le cose restino sul vago. Almeno non illudo nessuno». Be', a suo modo è onesto...

E alla fine chiarisco

Dopo essermi arrovellata e stressata per qualche giorno, decido di mettere le carte in tavola con Dario. Quando cominci a farti delle domande, vuol dire che la situazione non ti sta più bene, e a quel punto bisogna agire. Come mi ha detto Stéphanie Frémont: «Non bisogna mai rinunciare a quel che si vuole veramente e subire questo tipo di relazione per paura di perdere l'altro, o perché si pensa di non meritare di meglio». Sento che ho voglia di qualcosa di più, e per far funzionare una relazione è necessario essere in due. Al nostro incontro successivo, lui mi abbraccia e propone di uscire a cena. Aspetta, prima ho una domanda da farti. Cos'è che stiamo facendo, io e te? Lui s'irrigidisce. «Be'... ci divertiamo, no?». Non ce l'ho con Dario: ci possono essere tante ragioni per cui una storia non decolla. Ma mi rendo conto di non avere voglia di un legame nebuloso, bloccata nell'anticamera dell'amore in attesa di decidere se valga la pena investirci. Quello che voglio è una relazione semplice, ma nella quale si senta che c'è da entrambe le parti il desiderio di costruire qualcosa. Una storia può iniziare con qualche dubbio, ma se si resta troppo a lungo sospesi nell'incertezza, è probabile che ristagnerà a tempo indeterminato. E ognuno merita di vivere la relazione che desidera. Addio, Dario.