Meglio non scherzare col fuoco.

M.A. il mio trombamico preferito, mi invita a pranzo. Uhm. Strano. Io adoro M.A., ma prendere l’inziativa non è esattamente il suo forte. A meno che non si trovi in prossimità di un letto (o un divano o un tappeto o una qualsiasi superficie morbida sulla quale sia possibile stendere una donna). Quindi accetto con una certa curiosità. Seduti al tavolino del nostro ristorante preferito, esibisce uno sguardo tra il perplesso e l’angosciato. Anche questo non è da lui. «Non ne posso più di questo stalking. Quella donna mi sta rendendo la vita impossibile. Mi toglie serenità. Inizio quasi ad aver paura», esordisce. Sospira.

Premessa d’obbligo. Mentre a ogni essere umano veniva somministrata la giusta dose di inclinazione alla monogamia, M.A. era momentaneamente assente. Probabilmente stava giocando a calcetto. Così è cresciuto sviluppando un peculiare punto di vista: visto che la donna perfetta non esiste, per essere felici ne occorrono più di una. Partendo da questo inconfutaile (secondo lui) assioma, negli ultimi anni si è abilmente destreggiato tra una fidanzata storica (che vive a 150 chilometri di distanza) e diversi flirt più o meno duraturi, nell’ordine di un paio alla volta. Il mio capo la chiamerebbe una lodevole operazione di team builing.

A sua difesa c’è da dire che lui si impegna a essere onesto e, con l’eccezione della fidanzata storica, ignara come nella migliore tradizione, le altre sono prontamente messe al corrente della situazione. Ma a volte non basta.

Perché la pazienza di una donna, che pure fornisce il suo consenso informato al far parte di un harem metropolitano, ha un limite. Specie se arriva sull’orlo dell’innamoramento.

Così quando L., una delle girls in questione, ha subodorato la comparsa sulla scena di un’imprevista, ulteriore rivale (che M.A ha conosciuto a una cena di lavoro) ha sbroccato.

Effetto domino, si chiama: lei ha iniziato a tempestarlo di domande e controllarlo a vista; lui si è innervosito e l’ha mollata; lei si è trasformata in un’erinni.

Ma un’erinni 2.0. Ovvero: dopo aver fatto uno screening dettagliato delle ragazze più attive sulla pagina Fb di M.A. ha chiesto a tutte l’amicizia. Prima parte del piano.

Seconda parte: ha preso contatti in privato con la fidanzata storica e l’altra inquilina ufficiale dell’harem e le ha invitate a pranzi, cene, caffè e aperitivi, postando puntualmente le foto di ogni incontro.

No, no, non ha mai parlato di M.A.. Ma questo è l’abc dell’intimidazione mafiosa. Messaggio: ti ho in pugno, fai un passo falso e ti distruggo.
Ora il poveretto vive nel terrore: a) di trovarsi sotto casa, in piena notte, il suo Dream Team al completo, trasformato in un incubo; 2) di trovarsi sotto casa, in piena notte, L. intenta a incidere, con le chiavi di casa, un bassorilievo sul cofano della sua macchina.

«Ne sta facendo un dramma. Mi sta accerchiando. Quando non posta le foto degli allegri meeting, scrive sulla sua bacheca frasi contro i maschi, in particolare quelli del’Acquario, in particolare quelli che tifano Genoa, in particolare quelli con gli occhi verdi. Ci manca solo il mio numero di telefono. Gli americani non le chiamano Drama Queens quelle donne sempre pronte a lamentarsi, che si crogiolano nella sofferenza e cercano un capro espiatorio per la propria infelicità? Ecco, io me ne sono beccata una!», sbotta bevendo un sorso di birra.

Ora: che questa L. abbia superato abbondantemente i limiti della logica e della decenza, non ci sono dubbi. Che abbia bisogno di uno psichiatra, e di quelli bravi, nemmeno.

Ma mentre guardo le Nike blu di M.A. agitarsi nervosamente sotto il tavolo e ascolto le sue lamentele («Non esistono donne sane di mente, a questo mondo?»), io penso ad altro.

Penso che la chiarezza, a volte, non basta. Perché l’intimità tra due persone mette in moto paure inconsce che possono rivelarsi incontrollabili. La paura di non essere all’altezza. Dell’abbandono. Del rifiuto. Della solitudine. Un elenco infinito di timori che, shakerati tutti insieme, generano un magma emotivo che in personalità scentrate come quella di L. possono dar vita a una serie di eruzioni che manco lo Stromboli nei suoi giorni migliori.

Cerco le parole per dirlo, ma poi rinuncio. Mi limito ad abbracciare M.A. e rassicurarlo. «Basterà che la ignori e lei si stancherà di farti stalking. Andrà tutto bene», gli dico. E lo penso davvero. Poi non mi trattengo e aggiungo: «Dai, non è colpa tua». E questo, invece, non lo penso. Secondo me, un bel po’ di colpa lui ce l’ha. Perché giocare con i sentimenti altrui, anche se con tutta la chiarezza del mondo, equivale a giocare con il fuoco. E se qualcosa va storto, le ustioni di terzo grado sono assicurate.

Ma mentire alle persone cui vuoi bene quando fanno delle stronzate, fa parte del gioco, credo.

O no?

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