Argomento di discussione che ha ormai surclassato il più neutro "che tempo che fa", il ticket restaurant è ormai oggetto di amore-odio, lotte interclassiste e competizione tra colleghi.

Una prima, fondamentale distinzione è d'obbligo, prima di elencare le 10 cose che solo chi li possiede e li può (deve?) smerciare può capire: esiste una differenza abissale tra chi usa i ticket come se non ci fosse un domani, quasi che stesse giocando con i falsi tagli del Monopoli, e chi piuttosto che staccarne uno preferirebbe confessare al direttore beatlesiano che preferisce i Kinks.

Ciò detto, ecco la top ten delle dinamiche conosciute solo ai tenutari dei buoni pasto, rigorosamente in ordine sparso:

1. L'invidia del ticket

Alzi la mano chi non ha mai chiesto con nonchalance (se non addirittura sbirciato) il taglio dei ticket dell'amico e/o commensale della company avversaria. Perché il voucher del vicino, si sa, è sempre più verde. Ovviamente il tuo vale sempre meno, anche se di pochi centesimi. Argh...

2. La sindrome di Heidi

Come la paffuta pastorella con i panini bianchi trafugati per la nonnina, anche il possessore di ticket spesso si scopre a voler regalare un carnet al parente che lo usa per fare la spesa o all'amico temporaneamente nullatenente. È un gesto amorevole che non costa niente ma può far felice un'altra persona. Viva l'altruismo!

3. Offro io!

Manco possedesse una Visa Gold, nelle occasioni conviviali il miracolato possessore di ticket si sente spesso e volentieri in obbligo di condividere la sua fortuna con gli altri, e al grido "faccio io" recupera al volo la ricevuta e la salda in un'unica soluzione.

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4. Compreresti dei ticket da quest'uomo?

Non stiamo parlando di mercato nero di ticket, ma di "normale" baratto alla luce del sole: se il collega cicala ha improvvidamente finito i suoi ticket, mentre tu li centellini dosando sapientemente voucher e contanti, è buona norma "fargli credito": oltre ad essertene grato, alla prossima tornata il beneficiario della tua generosità ti ridarà senz'altro quanto prestato.

5. L'amore ai tempi dei ticket

All'epoca di Jane Austen, quando si conosceva un buon partito ci si sincerava con discrezione della sua rendita annuale. Oggi, più che il conto in banca, la lungimirante ragazza da marito avrà cura di verificare quale tipo di buono pasto riceve il papabile partner: meglio averne di due tipi diversi, così da aumentare la probabilità che vengano accettati in più posti.

6. L'evoluzione della specie

C'è una differenza abissale tra i buoni pasto cartacei e i più evoluti ticket restaurant elettronici: sono due mondi completamente diversi, con pro e contro. Per esempio, di solito i secondi hanno un valore più alto, ma nello stesso tempo non tutti gli esercizi sono attrezzati per accettarli.

7. Galateo da scrivania

Il buono pasto non è a beneficio di tutti. Alcuni contratti non lo prevedono, e spesso nello stesso ufficio, gomito a gomito lavorano persone che li ricevono, accanto ad altre che invece non ne hanno diritto. La regola numero uno per una convivenza serena è non esultare quando arrivano e vengono consegnati (gaudium magnum!), per non mortificare il compagno di scrivania meno fortunato.

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8. Non si accettano buoni pasto

Frase odiosa e piuttosto frequente, ma fin qui tutto sotto controllo. Il vero dramma è quando la vetrofania all'esterno del locale reca l'effigie della tua "marca" di ticket, ma alla fine scopri che quella pizzeria/trattoria/bar li accetta solo a pranzo, e non a cena... lasciandoti con l'amaro in bocca.

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9. Data di scadenza

Dopo aver stretto la cinghia, fatto calcoli su calcoli per evitare di disperdere spiccioli (il voucher, lo sanno tutti, non da' diritto al resto) e risparmiato su pranzi & cene per paura che finiscano, anche tu ti ritrovi a fine anno con una serie di carnet da far fuori e fai cambusa riempiendoti di scatolame modello moglie di Fantozzi con le baguette? Presente!

10. Ne resterà soltano uno

Ammettilo: quando arrivi all'ultimo ticket restaurant non lo spendi, ma lo tieni nel portafoglio fino a quando arrivano i nuovi carnet. Più che un vezzo, questa abitudine è legata all'idea sui buoni pasto che abbiamo tutti: i ticket alla fine non sono soldi (cit.), ma se non finiscono è meglio...