Il tanto decantato ricambio generazionale nella moda parte anche dalle scuole e quelle italiane legate al fashion world sono in ascesa e molto stimate in tutto il mondo. Si è tenuto "La Forma (In)Finita, Défilé IED 2017", il Graduate Fashion Show degli studenti di Fashion Design dell'Istituto milanese, uno dei più rinomati, capace di diplomare ogni anno molti di quegli studenti che poi ritroviamo nei più importanti uffici stile, italiani e non. Il Grattacielo Pirelli come location per le dodici collezioni dei migliori studenti del terzo anno del corso di Fashion Design dello Ied Milano e noi eravamo lì e ci siamo innamorati dei due studenti che hanno meritato i due premi in palio. Quello istituito in onore di Franca Sozzani, compianta Direttrice di Vogue Italia e Direttore Scientifico di IED per più di dieci anni, consegnato da Sara Sozzani Maino, Senior Editor di Vogue Italia e Head of Vogue Talents, è stato vinto da Antonio d'Addio, mentre il premio Pitti Tutorship, consegnato da Riccardo Vannetti, Direttore Tutorship della Direzione Aziendale di Pitti Immagine, è stato vinto da Eros Tolentino. Ci ha colpito molto che alla base di entrambe le collezioni ci fosse una analisi sulla comunicazione, o assenza di essa, fra le persone in un'epoca contemporanea così votata alla socialità 2.0. Ci è sembrato un punto di partenza molto intelligente, per questo abbiamo deciso di intervistare Antonio ed Eros, scoprendo due giovani con la testa sulle spalle, pieni di progetti, pronti a farsi largo nel mondo del lavoro, due simboli positivi di questa nuova generazione. Conosceteli meglio insieme a noi.

Antonio D'Addio

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Come ti sei avvicinato alla moda, perché hai deciso di intraprendere un percorso in questo mondo?Mi sono inizialmente avvicinato a questo mondo quando l'ho percepito come plausibile punto di convergenza delle mie passioni: l'arte, il disegno, la fotografia, il cinema. Tempo dopo, con più consapevolezza, ho compreso l'enorme capacità di cui la moda è dotata: la comunicazione.La possibilità di condividere un pensiero attraverso un oggetto che prende vita grazie al corpo che lo abita è un concetto che mi affascina profondamente.

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Il più grosso insegnamento imparato in questo percorso di studi?Avere la possibilità di essere in un luogo che stimola in maniera totalmente libera la creatività è una componente essenziale per l'assimilazione di un valore fondamentale: l'importanza dell'attenzione, intesa come sguardo volontario e continuamente consapevole, che è ciò che il mio percorso di studi mi ha lasciato come più grande insegnamento.Non solo per percepire input da trasformare poi a livello progettuale in ispirazioni, ma soprattutto per comprendere e analizzare i complessi meccanismi che girano dietro la cultura contemporanea, ed essendo specchio di essa, dietro la moda

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Ci racconti la collezione che ha sfilato?

Il nucleo del progetto si concentra sul valore d'utilità che l'assenza, intesa come mancanza, vuoto e difetto, possiede in potenza.

"D'UTILE ASSENZA" è la visione di un vuoto che può essere esso stesso chiave risolutiva, invece che agente inficiante. Assenza diventa così Resilienza. Da un'analisi soggettiva, la domanda si è trasformata in oggettiva: "Qual'è la più grande mancanza di cui soffre la mia generazione, la generazione Y, in questo momento storico?".

Tale vuoto nella mia visione si identifica oggi nella mancanza dell'essere umano, per l'essere umano stesso. Il contatto umano filtrato da luoghi illusori e da dinamiche individualistiche, è diventato sempre più latente. Il progresso ha contemporaneamente insinuato nella coscienza collettiva un sentimento di solitudine ed alienazione. La collezione si carica del tentativo di raccontare, stimolare e ricostruire il rapporto tra esseri umani attraverso diverse modalità.

È una collezione genderless, dove sono i corpi intesi come spazi ad abitare i vestiti, che si adattano a volumi differenti ed a fisionomie sia maschili, sia femminili. Alcuni capi possono essere indossati solo grazie all'aiuto di un'altra persona, suggerendo così l'incontro con l'altro in un momento di estrema intimità, che è quello della vestizione. Altri sono invece 'inclusivi', e cioè accolgono dalle 2 alle 4 persone in strati differenti dello stesso capo, come in un unico abbraccio. Il lavoro sui materiali è stato di legittimazione dei tessuti più poveri e di recupero, trasformandoli in qualcosa di differente e prezioso: il pile, tra i tessuti più emarginati diventa così il protagonista. Altri ancora raccontano della traccia che il corpo lascia nel luogo che per eccellenza l'uomo vive con più vulnerabilità ed intimità: il letto.

Orme e tracce di mani raccontano di contatti, testimoniano altrui passaggi. Cuscini, materassi e lenzuola assumono posizioni verticali sui corpi, fino a diventare spazi che offrono riposo e sicurezza. Cotoni e imbottiture avvolgono i corpi espandendone la forma, come quasi permettendo alle persone di addormentarsi le une sulle altre, così da condividere idealmente le reciproche vulnerabilità.

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Quali le tue icone di riferimento e da dove arrivano le ispirazioni? Le ispirazioni, come dicevo, arrivano dalla realtà quotidiana e sicuramente da gran parte del mio vissuto. Quello che cerco di fare nel lavoro è rendere oggettivo e fruibile quelle che possono essere esperienze personali per permettere all'altro di immedesimarsi, condividere (o anche contestare) quella che è la mia visione.Tra le mie icone coesistono personaggi come Martin Margiela, Jil Sander, ed altri come Rei Kawakubo, Vivienne Westwood: mondi opposti che raccontano esattamente la dicotomia che c'è di fondo nel mio lavoro.

L'emozione di sfilare davanti ad una platea di professionisti e di ricevere un premio? Un momento o un aneddoto dal backstage dell'evento? Il backstage è stato adrenalinico, è difficile raccontare il turbinio d'emozioni che si vivono in quegli attimi prima della sfilata, dove tutto resta come in apnea.Vedere sui corpi delle modelle e negli occhi degli spettatori il proprio progetto riempie questo momento di semplice e assoluta gioia.

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Un consiglio di stile per le lettrici di Cosmopolitan. Qualcosa da evitare, qualcosa da riscoprire o da rubare al guardaroba di lui?Il consiglio è di non limitare il guardaroba al genere, sopratutto oggi che viviamo in un mondo così profondamente fluido. Giocare e alterare pezzi del guardaroba maschile può essere interessante, attraverso stratificazioni, ma anche solamente piccoli dettagli, come un semplice polsino della classica camicia bianca maschile.

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Sogni ed aspettative per il futuro?Certamente spero di potermi approcciare ad ambienti che diano la possibilità di stimolare la creatività e la propria libera individualità. Sono una persona estremamente curiosa ed 'affamata' dalle possibilità che offrono le tecnologie moderne, quindi l'intenzione è sicuramente quella di continuare la ricerca di nuove forme di comunicazione e progettazione.

Eros Tolentino

Come ti sei avvicinato alla moda, perché hai deciso di intraprendere un percorso in questo mondo?

Ho frequentato l'Istituto d'Arte di Verona con indirizzo moda e costume. All'inizio era partito come un piccolo interesse nel disegno e nella creazione di vestiti, ma finita la maturità ho capito che era esattamente la strada che dovevo continuare.

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Il più grosso insegnamento imparato in questo percorso di studi?

Uno degli insegnamenti di cui sono più grato è la conoscenza di cosa è veramente il mondo moda. Un approfondimento su ciò che c'è dietro, su cosa si basa e su cosa si costruisce da essa. Non si parla solo di vestiti come indumenti, ma come opere che parlano da sole.

Ci racconti la collezione che ha sfilato?

La mia collezione è intitolata "52 Hertz". Il nome è ispirato dalla storia di 52, la balena più solitaria al mondo, che per via di una malformazione comunica alla frequenza di 52 Hertz, troppo alta per essere udita dalle altre balene, che normalmente comunicano ad una di 20/25. Questa incomunicabilità, che tanto mi ha incuriosito, l'ho relazionata a quella che sta inglobando il mondo di oggi, tra le mille tecnologie, fast fashion, fast comunication; da una semplice conversazione interrotta da un telefono che squilla ad un grido d'aiuto non sentito. La quotidianità in cui questa non comunicazione è presente, è stata la base delle mie silhouette. Capi basici, simbolo di una società presa dai suoi mille impegni e dalle sue molteplici strutture. Il mondo di 52 ha ispirato le manipolazioni tessili che ricoprono questa quotidianità, dalle forme ai volumi, creando così un percorso sia simbolico, sia di carattere moda che parla di una società alla ricerca di una nuova purezza e un nuovo equilibrio.

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Quali le tue icone di riferimento e da dove arrivano le ispirazioni?

Issey Miyake con i suoi plissé e silhouette fluide, Rei Kawakubo con un concetto di forma e di moda tutto suo e Jacquemus con la sua visione così fresca e vivace, sono i tre designer che maggiormente hanno ispirato me e la mia collezione.

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L'emozione di sfilare davanti ad una platea di professionisti e di ricevere un premio? Un momento o un aneddoto dal backstage dell'evento?

Un'emozione unica! Quando hanno comunicato a me ed ad Antonio che eravamo i due vincitori ci siamo guardati dritti negli occhi e abbiamo iniziato a tremare e sudare dall'emozione. Ho dovuto trattenere le lacrime per tutta la passerella finché non sono arrivato a ritirare il premio. Ero senza parole e incredulo fino a quando non sono tornato in backstage.

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Un consiglio di stile per le lettrici di Cosmopolitan. Qualcosa da evitare, qualcosa da riscoprire o da rubare al guardaroba di lui?

Credo molto nell'indossare assolutamente ciò che si desidera, ciò che rende forti dentro e fuori e di evitare solo ciò che non ci fa sentire sicuri di noi stessi. Ma assolutamente rubate quelle bellissime camicie bianche del vostro fidanzato/migliore amico/marito. Abbottonata, sbottonata, dentro un paio di pantaloni, sopra un abito, stropicciata o stirata ha sempre il suo effetto.

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Sogni ed aspettative per il futuro?

Un giorno spero di poter rendere Eros Tolentino un brand, che rifletta me stesso, che racconti una storia a cui le persone possano rapportarsi.