1. Il problema fondamentale che devi affrontare se hai l'accento ligure è che la sua riconoscibilità va al di là della lingua. Noi liguri non ci mangiamo le consonanti come fanno i veneti, né le moltiplichiamo come i sardi, non allunghiamo le vocali come i napoletani… Noi abbiamo la cocina, ossia la cantilena: un'alternanza di quelle che a teatro si chiamano "intenzioni" e sembrano riprodurre una risacca marina, come un pentagramma dalle minime variazioni. Che alla fine suona come una dolorante lamentela.

2. All'estero ci facciamo riconoscere. La cantilena ligure si sente anche quando parliamo francese, spagnolo, tedesco o inglese. Lo straniero che ci ascolta capisce che c'è qualcosa di strano. La cocina suona come una lamentela, anche se vogliamo esprimere giubilo e felicità. Nun è un triste destinn-o? Gli unici che non se ne accorgono sono i portoghesi: e ti credo, la cocina l'abbiamo presa da loro dopo secoli di colonizzazione.

3. L'effetto nel non ligure che ascolta il ligure è quello di trovarsi di fronte al Gabibbo. Ma anche Beppe Grillo, Maurizio Crozza o Luca di Luca e Paolo. Eh vabbè, pasiensa, che c'è di male? Provate voi a sostenere una conversazione telefonica professionale con qualcuno dall'altra parte dell'apparecchio che a ogni vostra frase si aspetta una frecciata caustica alla ligure!

4. I non liguri ti chiedono la traduzione De Andrè-italiano, italiano-De Andrè. Siamo abituati ai lunghi interrogatori sui passaggi più incomprensibili di Creuza de mâ. Il ligure vero, che è sostanzialmente misantropo, anche se conosce il testo a menadito, inventerà una versione atta a dimostrare che l'interlocutore non aveva capito nulla e che soltanto l'autoctono possiede la chiave atavica dell'interpretazione dei testi del cantautore genovese.

5. Sei circondato da "liguri della domenica". Avere l'accento ligure vuol dire anche che, ovunque tu ti trovi, a Roma o a Treviso, a Siena o persino a Boston (a me è successo!) ci sarà qualcuno che ti racconterà che aveva un amico d'infanzia (sospiri malinconici) o una zia (sospiri di sollievo) proprietari di una casa in Liguria dove ha passato le più belle/le più noiose estati della sua vita. E qui la cocina-lamentela la fanno gli altri!

6. Le relazioni a distanza tra liguri non funzionano. La Liguria ha più di 250 chilometri di costa, fitta di paesini incollati uno all'altro. Io vivo a Celle Ligure, che sta più o meno al centro di quest'arco. Una ragazza di Sestri Levante sta 100 chilometri più a est e una di Santo Stefano al Mare 100 chilometri più a ovest di me. Chi già vive in una città di mare mica si sposta a fare il bagno o a far serata in un'altra città di mare distante cento chilometri, come minimo. «Ciao, io vivo al mare» con le liguri è l'ice-breaker più inutile di sempre.

7. Torta di riso finita! Noi liguri a volte ci allontaniamo dalla terra natìa e andiamo vacanza in altre regioni italiane. E così scopriamo che in un ristorante in Toscana si può pranzare ancora alle 14, o se chiediamo un'indicazione a un passante napoletano lui ci accompagna personalmente alla meta, improvvisando anche una miniguida storico-gastronomica. Il ligure, diffidente e inospitale per carattere, istintivamente si stupisce di tanta accoglienza e gentilezza.

Ma quando ritorna a casa non farà altro che raccontare agli amici ogni mancanza riscontrata durante la vacanza con il tipico mugugno (quel borbottio indefinito, espressione di profonda insoddisfazione) 

Esempio tipico di conversazione post vacanza all'estero:

"Allora, come è andata in Polinesiaaaaa?" (ndr le vocali finali si allungano sempre, così vuole la cocina)

"Nun stamme a di'ninte che avevo il bungalow overwater a 5 stelle lusso con pavimento trasparente, tv satellitare, ma non sono riuscito a vedere la Sandoriaaaa"

Il ligure su lamenta sempre, anche in situazioni super positive! Come dice un proverbio famoso:

Chi nu cianze nu tetta!  Chi non piange non viene allattato, ovvero se non ti lamenti non ottieni nulla! Visto?

8. Diciamo "andare a spiaggia" anche se sappiamo che è sbagliato. Il turista usa naturalmente la versione italiana corretta: andare in spiaggia. Questa espressione è talmente radicata in noi liguri che non possiamo liberacene, come un orgoglio d'appartenenza a cui non si vuole rinunciare. Tanto che, persino il sottoscritto, consapevole si tratti di un'errore, quando gli è capitato di invitare gli amici turisti a fare un bagno, come segno di compromesso linguistico, prontamente esclama: "Andiamo al mare!?"

9. Il belin non conosce frontiere. Siamo giunti alla parola che credo tutti stavate aspettando. Una parola che è sì una "parolaccia", giacché definisce l'oggetto della virilità, ma è soprattutto un innocuo intercalare, usato anche da chi proviene dalle classi sociali più privilegiate e colte. Il belin è democratico: lo usano proprio tutti. Ma come reagisce il non ligure quando sente il ligure inanellare 8 belin in una frase di 20 parole?

Fase A: stupore e derisione. A un primo ascolto, o nel caso del turista che ritorna ogni anno, nei primi giorni della vacanza, ad ogni belin scatta una risatina a volte celata, a volte che il milanese/torinese non riesce proprio a nascondere.

Fase B: dopo una settimana non ci fa più caso, anzi ha l'impressione che nella parlata dell'ospite ci sia qualcosa di nascosto, ma fondamentale, come il basso in una canzone. Ma cos'è?

Fase C: dopo un mese ormai anche lui usa il belin per chiudere o aprire le sue frasi, senza pudore, senza in realtà rendersene conto. La metamorfosi è avvenuta. Se da anni viene in vacanza in Liguria lo potrai ascoltare esprimersi con meravigliose crasi interregionali, come "Belin, va a ciapà i ratt", o come mia moglie, che si è trasferita qui dal Veneto, esclamare nella concitazione istintiva di sgridare il marito: "Ocio che ti casca i schei, belin!".

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Il ligure DOC che abbiamo scelto per rappresentare i suoi conterranei è il simpaticissimo Vittorio Brumotti, il ciclista sexy di Finale Ligure. 

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