Pochi giorni fa, durante lo spinoso affare "Grab them by the pussy" ("Prendile per la patata", per tradurlo in modo indulgente), Trump si è tirato addosso le ire di mezzo mondo. 

Nel caso te la fossi persa questa è la squallida dichiarazione di Trump, fuoriuscita da un'intercettazione di una conversazione privata tra lui e il nipote di Bush nel 2005, resa pubblica venerdì scorso dalla CNN. 

Se proprio ci tieni a farti venire un travaso di bile puoi ascoltarla qui.

Le reazioni sono state istantanee: alcuni suoi fedelissimi l'hanno abbandonato in piena campagna elettorale e Trump ha dovuto risponderne pubblicamente, sui social e durante il dibattito di domenica notte con Hillary Clinton. 

La sua argomentazione è stata: «Non vado fiero dei miei discorsi da spogliatoio», e come un disco rotto ha continuato a definirli così, come se questo bastasse a giustificare le frasi sessiste, maschiliste, offensive per le donne, che alimentano pericolosamente la cultura dello stupro.

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Gli atleti si sono sentiti chiamati in causa. «In quanto atleta frequento gli spogliatoi da tutta la vita, e questi non sono discorsi da spogliatoio» twitta il giocatore di baseball Sean Doolittle.

Fa eco il giocatore di pallacanestro Kendall Marshall: «Le avances sessuali senza il consenso NON sono discorsi da spogliatoio».

Il calciatore dei Los Angeles Galaxy Robbie Rogers rincara la dose: «Mi sento offeso in quanto atleta dal fatto che Donald Trump usi l'argomento dei "discorsi da spogliatoio" come scusa.»

Non hai scuse Donald. E il fatto che continui a non capirlo è #NotOkay!

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