Un padre che si prende la responsabilità di aver fatto soffrire un figlio in una canzone? Singolare. Di solito ero abituato a canzoni nelle quali in modo più o meno poetico un padre augura al proprio figlio un futuro splendente. Dalla celeberrima ballata folk di Cat Stevens Father to son alla smielata e (non me ne volere Tom) un po’ banalotta Brandon scritta dall’energico batterista dei Motley Crue Tommy Lee.

Little Lion Man, pubblicata nel 2009 dai Mumford & Sons sul disco Sigh No More, mi ha colpito per l’originalità del messaggio.

«Non sei più coraggioso come un tempo… riprendi il coraggio che hai perso dopo esserti fissato sui tuoi problemi… piangi, trema piccolo uomo leone, non è stata colpa tua, ma mia, era il tuo cuore ad essere in gioco e io ho incasinato tutto».

Viene da pensare che si tratti di un padre perché al termine della canzone consiglia: «impara la lezione guardando tua madre o finirai con il rimanere li a struggerti come lei». Il primo suggerimento mi piace. Lasciati andare alle tue emozioni: piangi, trema, fallo tranquillamente sapendo prima di tutto che non è colpa tua se ti senti male.

Questo alleggerisce dai sensi di colpa e permette qualcosa che reputo basilare ossia riconoscere, accettare e sfogare la propria rabbia e i propri risentimenti perché solo così si potrà tornare ad avere la lucidità per affrontarli. È bello riconoscersi umani, imperfetti, veri. E poi non è questione di colpe... uno fa del suo meglio!

Quindi piccola donna leone, non aver paura di sfogarti, scegli solo il modo migliore per farlo senza danneggiare né te, né gli altri. Piangi come un rubinetto magari sulla spalla di un’amica, picchia il sacco magari con i guantoni di un amico. Una curiosità: quando Marcus Mumford la scrisse aveva 22 anni e mi risulta che non avesse figli. Non ha mai voluto spiegare quali fossero i sentimenti che hanno dato vita a questo testo, ma dice di averli provati molto intensamente e che ognuno è libero di vederci il significato che vuole. Ci proviamo?

Sembra che a scriverla sia un uomo maturo verso un figlio di 10/15… 22 anni. Che fosse la canzone che sperava che suo padre gli dedicasse? Che fosse una canzone nata proprio da una discussione/ammissione di responsabilità con il padre? E se fosse una canzone dedicata a sé stesso? Come se a parlare fosse sé stesso adulto nei confronti di sé stesso bambino? In questo caso anche la frase conclusiva dedicata alla madre filerebbe.

Chiudo con una riflessione che mi suggerisce un’altra canzone. Si chiama Simple man. Una straordinaria ballata firmata dai Lynyrd Skynyrd, quelli di Sweet Home Alabama. Ovviamente che sia “man” o “woman” in questo caso non fa differenza. È la canzone di un figlio che ricorda le chiacchierate con la madre che lo mette in guardia dai guai che gli possono capitare nella vita suggerendogli di affrontare tutto essendo un “Simple man”, un uomo semplice, da non interpretare però come “sempliciotto”, ma come “non paranoico”.

Un po’ come dicono gli allenatori a quei calciatori che cercando di esibire il proprio talento perdono palla esagerando con inutili numeri da foca: gioca semplice… che con tre passaggi sei già nell’area avversaria. Il tutto non può che ricondursi al mio consiglio principale: State comodi.