L'ultima immagine che Assuntina colse girando lo sguardo sulla piazza fu quella del sole che sorgeva dietro le montagne. Le campane della Matrice annunciavano la prima messa del mattino e il paese iniziava ad animarsi. Salì in fretta sul predellino e si diresse verso i sedili posteriori, i più nascosti, sedendosi accanto al finestrino. Vide passare davanti ai suoi occhi tante figure conosciute: Uzzetto 'u scarparo, che camminava verso la sua bottega di calzolaio; Saro, il picciotto della putìa all'angolo, che portava due casse di pomodori; la zia Teresa --‐ che nipoti non ne aveva avuti mai, eppure tutti la chiamavano così --‐ che andava col bummulo verso la fontana, a prendere l'acqua. E infine Ciccio 'u sgangulatu, lo "scimunito" del paese, l'unico che l'aveva salutata esibendo il suo sorriso sbilenco e, come diceva il suo soprannome, sdentato.

Quando la corriera che l'avrebbe portata via per sempre dal paese in cui era nata partì sferragliando, Assuntina si liberò del largo fazzoletto di cotone con cui aveva coperto il capo. Si guardò intorno stringendosi addosso il cappotto, qua e là un po' liso. Faceva freddo. Al terzo tornante della strada che scendeva a valle, alzò lo sguardo. Sapeva che da lì avrebbe scorto il castello, mezzo diroccato, abbarbicato lassù a dominare il paese. Quel paese che non aveva mai immaginato di lasciare, nemmeno da bambina, durante la guerra. Come poteva, da un giorno all'altro, cambiare ogni cosa? I luoghi familiari erano diventati intollerabili e… loro, le persone più care, dei nemici dai quali doversi difendere. Era bastato rompere le regole, dire 'no'. No, perché niente avrebbe mai potuto cancellare il ricordo di quello che era successo. No, perché quello non poteva essere amore. L'amore non può costringere, non può imprigionare, non può violentare. Si può amare mai qualcuno che ha ferito la nostra anima? Qualcuno che non ha esitato a prendersi con la forza quello che gli era stato negato? Qualcuno che andrebbe processato e messo al rogo per quello che ha fatto, ma che invece va per le strade a testa alta, sicuro di sé… inattaccabile?

La sciagurata, a detta di tutti, era lei. Che si credeva superiore alle altre solo perché aveva frequentato le scuole medie e passava il tempo a leggere tutte quelle fissariate di 'libri romanzi' che le regalava la 'vecchia del castello'. Invece di essere contenta che uno come lui avesse posato gli occhi su di lei, una ragazza di così umili origini, si era fatta desiderare. A forza di tirare la corda, di fare la preziosa, di dire sempre no, a quel povero cristiano gli aveva fatto perdere la ragione. Ché questo era stato, in fin dei conti: un colpo di testa, di sicuro dettato dal 'troppo amore'. Ma lui era pronto a rimediare al torto che le aveva fatto, e nel modo migliore. 'Macari riccu è' aveva aggiunto sua madre.

Che poteva pretendere di più? Poco valeva che lei non lo amasse, poco valeva che lui l'avesse presa con la violenza e contro la sua volontà, se ora per riparare le avrebbe dato il suo nome: il più importante del paese, il più rispettato, il più temuto. E i suoi denari. 'Nenti fù. Si scapricciò, e poi se la sposò' sarebbe stato il commento di tutti. Benevolo, quasi compiacente. L'amore, secondo loro, questo era. Ma Assuntina di un amore così non sapeva che farsene. La legge era degli uomini, e sconti alle donne non ne aveva fatti mai. Dire di no significava scegliere. E lei, coraggiosa o incosciente che fosse – questo l'avrebbe scoperto solo vivendo – aveva scelto. Contro tutto e tutti. Contro quella famiglia che aveva "disonorato" rifiutando il matrimonio, e che dalla sera prima non era più la sua. Ora sarebbe stata sola, ma padrona di se stessa.

Sapeva esattamente dove andare, ché Nunzia le voleva bene e il suo aiuto non glielo avrebbe negato mai. Il paese dove abitavano lei e Saro era abbastanza distante, era sul mare e vicino a Palermo; Nunzia diceva sempre che, ora che i padroni del palazzo stavano per tornare a vivere in Sicilia, aveva bisogno di un aiuto in più, e Assuntina era ben felice di darglielo. Al suo paese l'avrebbero presa tutti per pazza, sapendo che pur di non sposarsi con quell'uomo aveva preferito scappare e andarsene a servizio in una casa sconosciuta. Ma non gliene importava niente.

Tirò fuori dalla truscia, preparata in fretta e furia quella notte, un pezzo di pane che aveva trafugato dalla dispensa. Lo masticò lentamente mentre con la mano libera, senza dare all'occhio, si tastava il petto per controllare che i suoi pochi risparmi, guadagnati facendo da lettrice alla vecchia padrona del castello, mezza cieca, fossero sempre al sicuro. Osservò brevemente la gente intorno a lei. Un ragazzo dalla faccia buona, in divisa da militare, che subito le sorrise; una donna giovane accompagnata da una bambina; due suore; un commesso viaggiatore grasso e rubizzo che dormiva russando avvinghiato a una grossa valigia. Poco più avanti, una coppia di anziani che si tenevano teneramente per mano. Assuntina s'incantò a guardarli. Eccolo, il vero amore, quello che lei avrebbe voluto. Il mare sbucò da dietro una collina all'improvviso.

Una piazza grande come non ne aveva mai viste, con una cattedrale in centro e palazzi antichi tutto intorno, accolse la corriera dalla quale Assuntina scese per ultima. Non avrebbe mai dimenticato quella mattina, e quel viaggio da fuggitiva che si era appena concluso. Mentre s'incamminava lungo quella che le sembrava la via principale, verso il palazzo che le avevano appena indicato come quello in cui avrebbe trovato Nunzia, si voltò a osservare per l'ultima volta i suoi compagni di viaggio. Inseguì con lo sguardo i vecchietti innamorati che s'incamminavano lungo una stradina laterale.

'Ciao Tina!' la salutò la bambina, regalandole un sorriso. Le piaceva, il nome Tina. Nessuno l'aveva mai chiamata così, ma decise che da quel momento sarebbe stato quello il suo nome. Un nome nuovo, come tutto il resto. Agitò la mano rispondendo al saluto e riprese la strada verso il palazzo, che vedeva in lontananza. Appena i battenti del portone si chiusero dietro di lei, le braccia amorevoli di Nunzia la avvolsero nel caldo abbraccio in cui aveva sperato. Due lacrime, le prime in tanti giorni, le rigarono il viso.

L'autrice

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Cristina Cassar Scalia, 38 anni, di Noto (Siracusa). Il suo ultimo romanzo, Le stanze dello scirocco (Sperling & Kupfer, € 19,90) racconta la Sicilia del '68, in bilico tra tradizione e spinta per il rinnovamento, attraverso di occhi di Vittoria, una giovane donna indipendente e contestatrice che troverà la passione in un uomo molto diverso da lei. Da leggere se ami le fiabe e ammiri chi ha il coraggio di andare fino in fondo.

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