1. Sei costretta a riconsiderare il tuo uso dei tempi verbali. Per noi siciliani tutto quello che è successo ieri, l'altro ieri, un anno oppure 10 anni fa, ormai è passato. Anzi: passato remoto. Che importanza ha se un giorno "successe" qualcosa? «Futtatinni!» (fregatene): dopotutto conta solo il presente, no? È talmente bello vivere nell'oggi che anche il futuro per noi è uno sconosciuto... e infatti non lo usiamo quasi mai. Noi siculi per parlare di qualcosa che faremo in futuro usiamo il present continuous (manco avessimo studiato al college). Se è il tuo ultimo giorno di vacanza e vai dalla zia per salutarla, lei ti chiederà con aria triste: «Stai partendo domani?». Poi ti regalerà una bottiglia di limoncello fatto in casa: «...così poi lo offri agli amici quando sei a Milano!».

2. Parli come il Commissario Montalbano. Il personaggio di Camilleri riassume in sé alcune salienti caratteristiche della sicilianità, per esempio il fatto che per noi il verbo "essere" va posizionato rigorosamente dopo il complemento oggetto, il soggetto o qualsiasi altro elemento grammaticale. Quindi, se citofoniamo a un'amica che ci aspetta per cena, al suo: «Chi è?» la nostra risposta in automatico sarà: «Io sòno!». Se non è siciliana pure lei, scoppierà a ridere. Oppure ci prenderà in giro rispondendo: «E io Montalbano sòno!».

3. Fai un uso versatile e creativo dei verbi "uscire" e "scendere". Sempre attinente all'area grammaticale c'è il tanto discusso uso transitivo del verbo "uscire": in pratica noi usciamo la mozzarella dal frigo e usciamo il pane (ovvero lo mettiamo in tavola). D'altronde a dire "tirare fuori" si impiega troppo tempo! 
La nostra creatività è altrettanto evidente nell'uso del verso "salire". Infatti il siciliano che vive al nord  non "torna" a casa, ma "scende"; così come non "scola la pasta", ma la "scende. Ovviamente, se porta qualcosa al nord dalla Sicilia (l'olio, per esempio) la "sale".

 4. Non c'è verso che tu riesca a pronunciare vocali e consonanti come Lingua Italiana vuole. Noi siciliani siamo talmente simpatici e solari che questa apertura verso gli altri e il mondo la mettiamo anche nel modo di parlare, usando vocali apertissime (la "è" e la "à" sono spalancate): in pratica sembriamo tutti imparentati con Lisa Simpson! Siamo anche molto generosi, tanto che a volte raddoppiamo o triplichiamo la consonante all'inizio delle parole: facciamo la dddoccia e mettiamo la gggonna. La nostra "r" rende molto di più nelle parole dialettali, così se ci esprimiamo in italiano tendiamo piuttosto a eliminarla. Per questo mia sorella si chiama Gioggia e il suo fidanzato Cammelo (invece che Giorgia e Carmelo).

5. Sembri una devota cattolica anche se non vai in chiesa dalla prima comunione. Non è una questione di religione: anche se fossimo tutti atei, per noi le persone sono sempre "cristiani". Così come, se dobbiamo esprimere stupore, preoccupazione o disappunto, iniziamo la frase con l'esclamazione: "Mariaaaaaa!". Infine usiamo lo "spirito" per pulire i pavimenti o curare le ferite: non si tratta di quello santo, ma di quel liquido rosa che per i comuni mortali è l'alcol.

 6. A volte gli amici ti guardano perplessi: non ti capiscono. Mentre sparecchi la tavola ti scusi con i tuoi invitati e senza rendertene conto dici: «Vado un attimo sul balcone a "scotolare" la tovaglia!». Ovvero sbatterla, scuoterla. A proposito: se sei in spiaggia con un un siciliano e lui ti dice: «Dove la mettiamo la tovaglia?», non è che si sia portato dietro il set per fare un pic-nic... è solo che per noi la "tovaglia" è anche l'asciugamano per il mare! 
L'amico siciliano che inviti a cena non verrà mai a mani vuote, ma porterà almeno il dolce: una "guantiera" però, mica un semplice e comune vassoio!
 Quando trasloca, il siciliano non ripone le cose nelle scatole, ma negli "scatoli" (scatolo se è al singolare) e archivia i documenti nella "carpetta", non nella cartelletta come fanno al nord. Infine, u
na cosa che il siciliano non riuscirà ad imparare mai è la differenza tra sacchetto e busta: ogni volta che va a far la spesa al supermercato chiede gentilmente di poter avere un paio di buste. È inevitabile: io ci casco sempre.

7. Pur di non rinunciare al tuo idioma... contagi gli amici "stranieri" con il tuo modo di parlare! La verità è che ci sono parole ed espressioni dialettali che sono intraducibili, perché esprimono un intero mondo di significati. È impossibile farne a meno, quindi noi siciliani decidiamo di esportarle e farle diventare di uso comune tra i nostri amici. 
Una delle più conosciute è "a muzzo" (a casaccio) che ormai si usa un po' ovunque. Un altro must è la parola "lapuniare" che sta per "ronzare": lo usiamo per per indicare l'attività di un ragazzo che, proprio come un'ape ("lapuni" in siculo) intorno a un fiore, si aggira nei paraggi di una donna con fare apparentemente confuso e senza direzione. 
La più bella è di sicuro la "liscìa", che deriva dal nome di un antico sapone fatto con acqua e cenere (la liscìvia): identifica quella strana leggerezza che in alcuni momenti ci porta a ridere di noi stessi, degli altri e delle situazioni senza un apparente motivo. Insomma è l'attitudine alla risata. In pratica, un siciliano che ha la lìscìa è come un milanese "preso bene"! 

Nella foto in alto: l'attrice Margareth Madè, siciliana doc, nata a Paternò (provincia di Catania) nel 1982.