È giusto dare voce a un uomo condannato a 20 anni di reclusione per un atroce agguato alla sua ex, o un individuo così merita solo il silenzio della cella? Ce lo siamo chiesto anche noi giovedì sera, quando è andata in onda l'ultima puntata di Storie Maledette (Rai3) con l'intervista in carcere a Luca Varani, condannato a 20 anni in appello come mandante per aver fatto sfregiare con l'acido Lucia Annibali.

A fare la differenza, però, c'era lei, Franca Leosini. La sua implacabile ferocia nel mettere a nudo le pieghe del male. La sua messa in piega d'acciaio. I faldoni che sfoglia, pagina dopo pagina, ricostruendo i retroscena del delitto. I suoi tailleur bon ton anni Sessanta. La serietà con cui costruisce le trasmissioni leggendo tutte le carte processuali, mesi e mesi di lavoro e incontri in carcere. Quindi, dato che siamo sue fan (casomai non si fosse capito), abbiamo visto la trasmissione sulla fiducia.

Diciamo subito che non è stato bello. Ma non perché l'intervista non fosse condotta bene. Al contrario. Leosini è stata spietata nello scavare dentro il guscio vuoto del piacente ragazzo di provincia, convinto sotto sotto di aver solo fatto una stupidata. Ha usato perfino la bellezza di una poesia per seppellire la banalità del male fatto uomo. La nota stonata era appunto lui. Le lacrime da coccodrillo ispirate da palese autocommiserazione.

Lucia Annibali ha dichiarato al Corriere della Sera di non aver voluto ascoltare le parole del suo aguzzino: "Il giorno in cui l'imputato Varani chiese attenzione per fare le sue dichiarazioni spontanee ai giudici, io sono uscita dall'aula del tribunale. Allo stesso modo stavolta sono uscita di casa mentre parlava in tv. Perché io c'ero mentre vivevo nel terrore, ed ero lì le volte in cui sarei potuta morire. La verità è sempre una sola e non posso accettare che si provi a metterla in discussione. Non ho bisogno che qualcuno mi racconti com'è andata o che mi spieghi che cosa ho provato in quei momenti. Soltanto io sono autorizzata a farlo".

Noi rispettiamo il suo dolore. E facciamo nostre le sue parole. Lei già sa e non c'è altro da aggiungere. Eppure, ascoltare e guardare in faccia un uomo mentre dice: «Se un giorno potrà perdonarmi, sono sicuro che sarà possibile, sarà una cosa che farà del bene anche a lei», come ha detto in tv Varani, è utile. È utile per noi che dobbiamo difenderci da chi può farci del male, e già dà per scontato il nostro perdono. Per i nostri compagni, amici, fratelli, perché possano prendere le distanze in modo fermo e chiaro da certi modelli maschili che, purtroppo, creano ancora terreno fertile per la violenza contro le donne.

Perché l'Italia non è un Paese come tanti altri, è il Paese dove oltre 6 milioni e mezzo di donne hanno subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. E dove il 34,5% ha temuto nella propria vita nel 2014 (il 18,8% nel 2006). In questi giorni, una ragazza incinta è stata bruciata dal proprio compagno e altre due sono state brutalmente uccise, sempre dal proprio partner o dall'ex. E tutto ciò avviene in una società che ancora fa fatica a difendere le donne. A non discriminarle. A trattarle e valorizzarne le capacità in modo equo.

Ascoltare Luca Varani è stato istruttivo. La sua aria simpatica da ragazzo della porta accanto ci mette in guardia. Gli uomini che odiano le donne non sono dei mostri, anzi, spesso prima di farci del male ci fanno innamorare. È quello che ci aveva detto anche Laura Emilietti, la criminologa del Centro italiano per la promozione della mediazione (Cipm) che segue i sex offender reclusi al carcere di Bollate, a Milano, in un percorso riabilitativo: «Molti credono che questi uomini violenti abbiano personalità impulsive, aggressive, che siano dei "mostri" o dei pazzi presi dal raptus di un momento. In realtà, nella maggior parte dei casi sono mariti, fidanzati o ex, persone apparentemente "normali"».