In questi giorni non si discute quasi d'altro che dello scandalo sessuale che ha travolto Harvey Weinstein, il potente produttore di Hollywood (Gangs of New York, Pulp Fiction e Shakespeare in Love sono solo alcuni dei suoi film). Per uno strano fenomeno, però, in Italia in realtà di Weinstein non si parla nemmeno più.

Il tycoon che fino a pochi giorni fa sedeva tra i giurati degli Oscar (privilegio che prontamente gli è stato tolto) è finito in secondo piano, quasi una figura di contorno. Tutte le attenzioni, i dibattiti sui social, le discussioni, gli haters e i commentatori, che siano uomini o donne, si sono concentrati unicamente nel giudicare, vivisezionare, appoggiare o disprezzare il comportamento delle vittime, alcune dai nomi famosi - Gwyneth Paltrow, Angelina Jolie, Mira Sorvino, Cara Delevingne, Asia Argento - altre no. Avrai sentito anche tu frasi come: «Se la sono cercata», «Tanto a Hollywood lo sapevano tutte», «Volevano avere successo facile», «Avevano solo da guadagnarci», «Avrebbero dovuto denunciare prima».

Non ti sembra strano?

Un tale accanimento può avere un'unica spiegazione, e non è bella. Purtroppo è il risultato di una mentalità arcaica che di tanto in tanto riaffiora in superficie mostrando grande vitalità. Una mentalità che giustifica gli atteggiamenti maschili peggiori, predatori e violenti. Che colpevolizza in ogni caso le donne e le confina sotto sotto in ruoli subalterni e passivi. Così un abuso sessuale in ambiente di lavoro dove lui ha tutto e lei nulla si trasforma quasi in uno scambio di favori alla pari. E invece di biasimare il colpevole del reato (perché le molestie sono un reato), si preferisce deplorare la parte debole, cioè chi l'ha subìto.

Prova ora a fare un passo indietro

Prendi un datore di lavoro potente e ammirato, togli la polvere di stelle e i nomi di attrici famose che confondono le idee, e che cosa resta? Resta Harvey Weinstein, un uomo che ha utilizzato il proprio ruolo professionale per abusare sessualmente di tante ragazze animate da un grande sogno, quello di fare il lavoro che avevano sempre desiderato. Ti suona familiare?

Forse sì, considerato che nel nostro Paese secondo l'Istat oltre un milione e 300mila donne hanno subìto almeno una volta delle molestie sessuali sul lavoro nell'arco della loro vita. Le denunce, però, sono pochissime (circa il 90% degli abusi resta impunito): che tu sia un'attrice che muove i primi passi di una carriera che speri sfolgorante o una neolaureata in ingegneria nucleare, la paura di perdere il lavoro e, soprattutto, di passare incredibilmente dalla parte del torto («Lo avrà incoraggiato») è la stessa. Concentriamoci su questo, se vogliamo cambiare le cose.

C'è ancora molto da fare

Da qualche anno in Italia è stato introdotto il percorso di formazione per aziende "Gender Equality" per promuovere una reale cultura dell'eguaglianza di genere nei posti di lavoro, primo passo per prevenire le molestie. Per il momento, però, a prevedere programmi simili sono solo le medie e grandi imprese, mentre tra le piccole, che rappresentano la maggiore realtà lavorativa nel nostro Paese, non si raggiunge il 9%, secondo i dati dell'Osservatorio ExpoTraining.

In compenso, dal 2016 esiste un protocollo sottoscritto tra Confindustria e i sindacati Cgil, Cisl e Uil a tutela delle donne sui luoghi di lavoro che tra le varie cose prevede anche il licenziamento del responsabile di molestie, qualunque sia il suo ruolo. È ispirato a un'intesa siglata nel 2007 tra le parti sociali presso l'Agenzia europea per la salute e la sicurezza sul lavoro ed è stato anche riconosciuto e sottoscritto da Apindustria (Associazione piccole e medie imprese) del Veneto e di altre regioni.

Nonostante la situazione non proprio idilliaca, comunque, secondo l'Eige, l'agenzia dell'Unione europea che monitora la parità di genere tra i Paesi membri e ha appena attribuito il nuovo Gender Equality index, l'Italia ha fatto il più grande progresso mai registrato in Europa negli ultimi dieci anni, passando dalla 26esima alla 14esima posizione in classifica. Il merito sarebbe della legge sulle cosiddette quote rosa, entrata in vigore nell'agosto del 2011, che riserva al genere meno rappresentato (ovvero quello femminile) almeno un terzo dei posti nei consigli di amministrazione e negli organi di vigilanza delle società quotate.

Insomma, il cammino da fare è ancora lungo, ma perlomeno ai vertici qualcosa sta cambiando. L'augurio è che la maggiore presenza femminile ai posti di comando possa contribuire a modificare finalmente l'atteggiamento della società rispetto alle tematiche di genere e a rispettare davvero le donne. Che facciano le attrici o le operaie.

Nella foto, Harwey Weinstein con la moglie Georgina Chapman

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