Per noi donne occidentali guidare è una delle cose più normali che facciamo, come andare al lavoro, fare shopping e viaggiare. Per le donne saudite non era così. Almeno fino a ieri: con un decreto il re Salman ha annunciato che da giugno anche in Arabia Saudita le donne possono guidare.

Anche se per l'Arabia Saudita, unico paese che proibiva alle donne di guidare, questa può sembrare una concessione, in realtà è una svolta storica per le donne saudite e per tutte noi. Perché lottare per i nostri diritti significa lottare accanto a chi ancora non gode di quei diritti che noi diamo per scontati.

Quella per il diritto alla guida delle donne saudite è stata una lunga lotta iniziata negli anni '90 con molte donne finite in carcere per aver osato semplicemente guidare. Molte di loro per protesta si sono filmate mentre guidavano rischiando l'umiliazione, ma anche il loro lavoro e la loro dignità. Come è successo all'attivista Manal El Sharif che nel 2011 aveva lanciato sui social la campagna It's my right to drive e che per questo è stata costretta ad andare via dal suo paese.

Manal è stata ospite di TED e nel suo discorso ha spiegato come in realtà in Arabia Saudita non esisteva una vera legge che impediva alle donne di guidare e che "era solo una consuetudine e una tradizione inscritta nelle rigide fatwa religiose e imposta alle donne". In pratica se lo facevano erano ritenute alla stregua di prostitute.

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Ecco perché l'eliminazione di questo divieto è una svolta epocale: non è una legge che cade ma un passo avanti verso il cambiamento della società. Perché guidare è un diritto, ma soprattutto è libertà di muoversi, di vivere la propria quotidianità, di essere se stesse.

«Tutto quello che so e di cui sono sicura, è che in futuro quando qualcuno chiederà della mia storia, dirò, "Sono fiera di essere tra quelle donne che hanno tolto il divieto, hanno combattuto il divieto, e celebrato la libertà di tutti"». Manal El Sharif