Quando non ne puoi più di leggere dell'ennesimo femminicidio, di consolare l'amica perseguitata dall'ex o assistere a trasmissioni dove l'amore può essere criminale e la donna è sempre una vittima fragile e inappropriata, ecco che in tv arriva Big Little Lies - Piccole Grandi Bugie, una serie che sa spiegare il dramma della violenza sulle donne all'interno della coppia meglio di un trattato. Perché è questa l'impressione che hai, via via che le puntate si succedono fino alla soluzione finale.

Eppure, all'inizio non te lo saresti mai aspettata...

Tutto quello che pensavi di scoprire guardando la serie diretta da Jean Marc-Vallée (il regista di Dallas Buyers Club), tratta da un romanzo di un'autrice australiana e sceneggiata da David E. Kelley (Ally McBeal) per il canale HBO (in Italia è andata su Sky Atlantic), era qualche torbido, piccante segreto montato ad arte come prequel di un delitto finale (The Affair insegna). Il tutto sotto un velo scintillante d'ipocrisia che ammanta la storia fin dalle prime inquadrature. Il panorama mozzafiato delle scogliere affacciate sull'oceano di Monterey, California, visto attraverso i finestrini di un Suv nelle immagini della sigla ti dicono subito che i protagonisti, anzi, le protagoniste, appartengono alla classe dei superprevilegiati, i milionari che hanno fatto i soldi nella non lontana Silicon Valley e che ora si godono le loro rendite in megaville vista oceano.

Donne apparentemente felici e perfette, interpretate da attrici come Nicole Kidman (Celeste), Reese Witherspoon (Madeline), Laura Dern (Renata) e Zoë Kravitz (Bonnie), conducono la loro vita da sogno, accomunate dall'invidia altrui e dalla scuola materna frequentata dai figli (e non c'è bisogno di essere iscritte al gruppo "mamme dell'asilo" su Whatsapp per capire le potenzialità esplosive della cosa). Solo Jane (Shailene Woodley) non gode dello stesso tenore di vita, ma le sue disgrazie ne fanno una sorta di mascotte, l'amica in difficoltà che è bello aiutare (la solidarietà femminile è un altro tema forte del plot). Appena trasferita a Monterey, infatti, Jane è una madre single, contabile part time, che ha subito uno stupro da parte di uno sconosciuto: suo figlio è nato in seguito a quella violenza.

La vicenda di Jane, se ci pensi bene, rappresenta il più clamoroso stereotipo, e anche falso mito, sulla violenza di genere, ovvero che il maggior pericolo per una donna viene da fuori, oltre le pareti domestiche, per mano di un malintenzionato, un partner occasionale. Ma se nella realtà Jane è un'eccezione (solo il 3% delle aggressioni avviene per mano di sconosciuti), nella serie tv la sua esperienza ha un'altra faccia della medaglia (attenzione: spoiler!) che ti riporta all'interno di pareti domestiche arredate come in una foto di Elle Decor, ma raggelate da un clima di terrore. Già, perché la violenza di genere tocca qualsiasi classe sociale. E quell'uomo che per Jane è uno sconosciuto, per qualcun'altra, Celeste, è un marito e il padre dei suoi figli.

Un individuo violento e disturbato, certo, ma quanto è duro ammetterlo?

Soprattutto se hai studiato, ti reputi (e lo sei!) una donna in gamba e proprio per lui hai lasciato un lavoro di successo ritirandoti a una vita da mamma a tempo pieno, è difficile riconoscere che c'è qualcosa che non va e che tu non puoi rimediarvi da sola. È questo il dramma di Celeste, ma non solo il suo. Il maggior ostacolo che impedisce alle donne vittime di violenza domestica di lasciare il proprio aguzzino è proprio la difficoltà a parlarne e a chiedere aiuto: lo dicono le esperte dei centri antiviolenza. E questo spiega anche perché il 97% delle violenze ripetute sia appunto commesso in famiglia dal proprio compagno.

Attraverso il personaggio di Celeste e ciò che le accade intorno, Big Little Lies riesce a raccontare come accade di rado l'angoscia solitaria che una donna vittima di violenza vive all'interno della propria famiglia, un ambiente che ha costruito come un progetto di vita, nel quale ora si muove come in una trappola mortale, lacerata tra istinto di sopravvivenza e desiderio di proteggere i figli, speranza che lui cambierà e puro terrore. E la violenza fisica, i pugni, gli schiaffi e i calci, sono solo una parte di questo inferno, che spesso ha anche un opprimente versante psicologico.

«Quando spariscono i lividi io perdo il potere e lui torna a colpirmi»

«Tutto dipende da chi ha il potere: dopo che mi ha picchiato ce l'ho io, poi quando non si vedono più i lividi il controllo torna a lui, così mi picchia di nuovo», spiega Celeste alla psicoterapeuta che le dà con delicatezza e fermezza i consigli giusti a una donna ricca: affitta una casa di nascosto, riempi il frigorifero e preparati a fuggire. Parole molto lucide, che spiegano tutto: l'uomo violento non agisce mai per gelosia o troppo amore, ma solo per desiderio di controllo.

Quando il marito di Celeste, che ha la bellezza statuaria di Alexander Skarsgård, gioca con i figli assumendo la voce e la postura di un orribile orco cattivo, tu sai che la finzione è realtà. E quando in modo apparentemente innocente, spinge i ragazzini a puntare le pistole ad acqua contro la madre, provi il brivido della violenza psicologica più sottile. Perché la serie ti racconta anche, attraverso misteriosi atti di bullismo all'asilo e bugie infantili, che la violenza di genere è un virus che si propaga, di padre in figlio. E che nessuno è innocente, nemmeno i bambini.

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