Chi l'avrebbe detto che una mattina mi sarei svegliata dentro la mia casa di Brixton ma fuori dall'Unione Europea? Che la città multietnica e multiculturale per eccellenza mi avrebbe improvvisamente fatta sentire come una straniera non voluta? Guardo il mappamondo e non riesco ancora a capacitarmi: ovvio che siamo in Europa, dove altro? 

Sono arrivata a Londra 14 anni fa con due lire in tasca, una laurea in Scienze Politiche e lo sfrenato entusiasmo di una ventiquattrenne perugina cresciuta a pane e Beatles. Questa città ha chiesto molto  ma in cambio mi ha regalato un sogno dopo l'altro: sono diventata fotografa e giornalista professionista; ho persino incontrato più volte Paul McCartney e cantato in uno degli studi di registrazione più famosi del mondo a fianco del suo stesso produttore. In due parole: mi sono abbandonata alle infinite possibilità offerte da questa incredibile metropoli e vissuto innumerevoli momenti di surreale felicità. 

Londra mi ha insegnato cosa significa correttezza e tolleranza, mi ha dato la buona abitudine di non giudicare mai nessuno per il credo religioso, l'orientamento sessuale o il colore della pelle. Mi ha insegnato a vivere e lasciar vivere: qui se giri con un burka, vestito da rabbino, Papa o Batman, nemmeno si girano a guardarti per strada. Essere freelance senza essere figli di papà in una città ridicolmente costosa non è semplice ma Londra mi ha dato l'energia, la creatività e il coraggio di vivere inseguendo le mie passioni. Ho regolarmente pagato le mie tasse in Inghilterra, sempre giuste perché calibrate agli introiti ma resto una freelance senza alcun contratto di lavoro. 

Devo pensare che d'ora in poi mi chiederanno un visto per restare? Sarà un visto semplice da ottenere o un privilegio di pochi? Oppure, come qualche parlamentare suggeriva mesi fa, se non guadagnerò una determinata cifra dovrò comunque fare le valige? Il mio terrore più grande è quello di non poter più godere dell'assistenza sanitaria pubblica in quanto cittadina non britannica. Devo pensare che se per disgrazia dovessi essere operata d'emergenza all'appendicite poi vado in rovina per il resto della vita a causa di migliaia e migliaia di sterline di debito, proprio come succede agli amici americani che non possono permettersi un'assicurazione sulla salute? Oppure devo mettere in conto che ogni mese, oltre all'affitto di quasi mille euro per vivere in una stanza in una casa condivisa, dovrò pagare pure un'assicurazione? E la libertà di movimento? Riusciremo ancora a salire su un aereo low cost, che tanto ci fa sentire vicini all'Italia, come se fossero autobus o l'Inghilterra ora dovrà far fronte a tasse che prima neppure esistevano? 

La verità è che nessuno sa le vere implicazioni di questo voto: dall'inizio della campagna elettorale, ci sono solo opinioni e speculazioni, neppure un fatto. "Il governo italiano veglierà sul rispetto dei diritti acquisiti dei cittadini italiani tanto nell'immediato quanto nei futuri negoziati per l'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea" è il comunicato dall'ambasciata che dovrebbe tranquillizzare noi italiani a Londra. Con la fiducia riposta sul governo italiano, quel "vegliare" non mi basta affatto e resta comunque una dichiarazione che lascia ampio spazio alle interpretazioni. 

Una cosa è certa: Brexit ci ha divisi in due, anche qui dentro il Regno Unito. Ha rinvigorito sentimenti di odio xenofobo e generato la rabbia di chi oggi si è sentito spinto con la forza indietro nella storia di almeno 40 anni. Leggo sui social i commenti di amici che indignati si vergognano di essere inglesi. Altri vorrebbero far uscire Londra (la cui maggioranza a votato per restare) dal Regno Unito. Rabbia, odio, intolleranza, fastidio. Ecco le uniche cose certe generate da Brexit al momento. Molti amici italiani, che come me vivono qui da molti anni, ora dichiarano di volersene andare. È vero, da oggi ci sentiamo un po' meno voluti e persino traditi. D'improvviso l'Inghilterra non sembra così vicina.