Greta (è un nome di fantasia) ha 36 anni e ha sperimentato sulla propria pelle le conseguenze della violenza psicologica e domestica. Ha studiato come operatrice turistica e fino a qualche anno fa seguiva le gare d'appalto per una multinazionale farmaceutica. Trovarsi costretta a lasciare quel lavoro è stata solo la prima delle tante violenze psicologiche e fisiche, che ha subito da parte dell'uomo che amava. Ma oggi quel buco nero dove era precipitata se l'è lasciato alle spalle. Perché Greta è rinata. 9 mesi fa è riuscita a liberarsi dal suo aguzzino e insieme ad altre nove donne vittime di violenza, assistite da Telefono Rosa, ha partecipato al progetto Women Run the Show creato da Samsung per facilitare il loro reinserimento nel mondo occupazionale. E ora Greta è pronta per ricostruirsi una nuova vita attraverso il lavoro. Le abbiamo chiesto di raccontarci la sua storia.

Cosa hai appreso dal programma Women Run the Show?

«Mi ha permesso di frequentare un corso da segretaria amministrativa che mi ha dato l'opportunità di fare un ripasso di tutte le mansioni che questa professione comporta. In più, ho seguito anche un aggiornamento sul web marketing, davvero prezioso. Il percorso di formazione è durato 80 ore, in tutto un paio di mesi, a seguirlo eravamo in quattro e per me è stato importantissimo anche dal punto di vista umano. Riavvicinarmi al mondo del lavoro mi ha fatto crescere l'autostima».

Nell'ambito di questo percorso hai anche partecipato a un documentario e insieme ad altre donne avete realizzato uno spot sotto la direzione di Maria Sole Tognazzi...

«Sì, è stata un'esperienza incredibile. Maria Sole Tognazzi con tutte noi è stata disponibilissima e molto generosa. È una persona autentica e sincera e con lei ci siamo sentite a nostro agio. Questa esperienza mi ha portato a conoscere altri ambienti, ad ampliare le mie conoscenze e a confrontarmi con altre ragazze che avevano subìto violenze simili alla mia. Se ho potuto fare tutto ciò, però, è soprattutto grazie alle volontarie di Telefono Rosa che mi hanno ridato fiducia e mi hanno aiutato a capire che io valgo. Finalmente credo di nuovo in me stessa e ora che il percorso è finito, spero di avere presto l'occasione di rimettermi in gioco e dimostrare le mie capacità e competenze».

Un tempo avevi un ottimo lavoro: come mai l'hai lasciato?

«Per esigenze familiari. Cioè, mio marito pretendeva che restassi a casa e io, alla fine, ho ceduto. Lavoravo in una multinazionale da 10 anni, mi piaceva molto e avevo anche grandi soddisfazioni, ma me ne sono andata perché speravo che così facendo lui si sarebbe tranquillizzato. Credevo di fare il bene della famiglia. Ma non è stato così, anzi. Nemmeno un mese dopo lui ha iniziato a fare molto peggio. È diventato sempre più prepotente, decideva tutto lui, comandava lui. C'erano le violenze fisiche e poi quelle psicologiche, gli insulti. Ma io allora non mi rendevo conto: la mia famiglia cercava di avvertirmi e io lo difendevo».

Quali sono le violenze che fanno più male?

«Quelle psicologiche e verbali. Ti annientano. Lui non faceva che denigrarmi, anche davanti ai nostri figli, un maschio e una femmina di 9 e 5 anni, e io ho iniziato a colpevolizzarmi. Mi ero convinta di essere diventata una nullità e che non sarei riuscita più a combinare niente. Ripensavo a quando ero stimata per il mio lavoro e mi sembrava impossibile. Le mortificazioni quotidiane sono la cosa più dolorosa».

Quanto tempo ci hai messo a reagire?

«Mi ci sono voluti 6 anni per ammettere il problema. Davvero molto tempo. Il fatto è che speravo che lui potesse cambiare, ma non è mai così: purtroppo questo è un errore che fanno molte donne. Così aspetti, e invece le cose peggiorano al punto che tu non hai più la forza di reagire perché ormai non hai più autostima. A frenarti, poi, è soprattutto la paura di quello che può succederti: ti ripeti che, almeno, ora un tetto ce l'hai, ma se te ne vai chissà che cosa ne sarà di te…».

Non avevi un'amica alla quale chiedere aiuto?

«No, vivevamo isolati: c'eravamo solo noi e i nostri figli. Lui era accecato da una gelosia paranoica e non mi permetteva di frequentare nessuno. Non potevo parlare nemmeno con le mamme dei compagni di scuola dei bambini. Lui mi controllava sempre. Se la vicina di casa mi rivolgeva la parola per scambiare due chiacchiere, la mia unica preoccupazione era troncare presto la conversazione e scappare via, altrimenti erano scenate e violenze».

Cosa ti ha dato la forza di reagire?

«A un certo punto mi sono chiesta: ma se continuo ad accettare tutto questo, cosa imparano i miei figli? La femmina crescerà pensando che sia normale? E il ragazzino, poi, avendo sempre visto il padre trattare così la sua donna, non farà lo stesso con la propria? È stato questo a spingermi a reagire. Me ne sono andata per il bene dei miei figli. E anche il mio».

Come hai fatto a rivolgerti a Telefono Rosa?

«Ho trovato il numero 1522 su internet e ho chiamato. Credevo che mi facessero un sacco di domande, e invece mi hanno detto semplicemente: "Vieni così puoi parlare con la psicologa e l'avvocata che risponderanno a tutti i tuoi dubbi". Ci sono andata. Nel giro di due ore avevo il contatto con una casa rifugio segreta e il giorno dopo ero già là con i bambini. La tempistica in questa fase è molto importante: c'è tantissima paura e spesso sopravviene il ripensamento. Per questo le volontarie di Telefono Rosa sanno che devono agire subito. Sono state straordinarie: se sono qui lo devo a loro».

Poi cosa è successo?

«Nella casa rifugio siamo rimasti quattro mesi. Stare in un ambiente protetto mi ha consentito di allontanarmi fisicamente e mentalmente da ciò che avevo vissuto. Poi ogni settimana incontravo una psicologa e anche questo mi è servito moltissimo, perché dietro ogni donna vittima di violenza c'è una fragilità che va affrontata. Quando ti trovi in certe situazioni credi che gli altri non possano capirti, ti senti giudicata, come fosse colpa tua. Trovare delle persone che ti fanno parlare e ti ascoltano è stato importante. Ora coi miei figli abitiamo in una casa famiglia e piano piano spero di tornare alla normalità. Loro hanno ripreso a incontrare il padre. Io, invece, non l'ho mai più rivisto».

Secondo te perché così tanti uomini odiano le donne?

«Molto dipende da cosa hanno imparato da bambini. Mio marito, per esempio, è cresciuto a sua volta in una famiglia violenta: suo padre picchiava regolarmente sua madre, che non si è mai ribellata. Io l'ho sempre saputo, ma non ci avevo dato peso perché sapevo anche che lui la difendeva. Questo particolare mi ha tratto in inganno: ho creduto a lungo che fosse la prova del fatto che era in qualche modo "immunizzato". Non ho mai pensato che avrebbe fatto lo stesso, e invece è andata così».

Women Run the Show: l'iniziativa continua

Liberarsi di un compagno violento che ti fa il vuoto intorno non è facile, ma è ancora più complicato se non hai un lavoro. Perché senza l'indipendenza economica, non hai i soldi per gestire la tua libertà. Ma anche perché niente come avere un ruolo attivo in ambito professionale favorisce il recupero dell'autostima e della fiducia nelle proprie capacità. Per questo è così importante offrire alle donne vittime di violenza domestica e disagio familiare un percorso che le aiuti a reinserirsi nel mondo del lavoro. In qualità di promotore dell'iniziativa, Samsung invita altre realtà imprenditoriali grandi e piccole a creare un network di aziende women friendly in grado di offrire stage e contratti di lavoro per favorire le donne in difficoltà. Per informazioni clicca qui.

1522: il Telefono Rosa che salva la vita delle donne

In Italia secondo l'ultima indagine Istat del 2015, oltre 6 milioni e mezzo di donne (il 31,5% della popolazione femminile tra i 16 e i 70 anni) hanno subìto nella propria vita una forma di violenza fisica o sessuale, mentre quasi 3 milioni e mezzo (16,1%) sono state vittima di stalking. Di queste ultime, 1 milione 524 mila donne sono state perseguitate dall'ex partner. Di fronte a questi dati, e al numero drammatico di femminicidi registrato ogni anno, la prevenzione e la possibilità di agire in modo tempestivo sono cruciali. Se anche tu ti trovi in una situazione simile a quella di Geta, o conosci un'amica in difficoltà, sappi che basta telefonare al numero 1522 in funzione sempre, tutti i giorni 24H, attivato dal Ministero delle Pari Opportunità e gestito da Telefono Rosa. Ti risponderà un'operatrice che ti metterà in contatto con la struttura a te più vicina dove avvocate e psicologhe ti offriranno tutto l'aiuto di cui hai bisogno. Telefono Rosa è un'associazione nazionale che conta solo su donazioni private e volontariato.

Nella foto, una scena dello spot di Women Run the Show realizzato da 10 donne che sono riuscite a liberarsi dalla violenza domestica, sotto la direzione di Maria Sole Tognazzi.

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