Anche se magari non abiti né a Roma né a Torino, in questi giorni non hai potuto fare a meno di seguire la notizia della vittoria di Virginia Raggi e Chiara Appendino, elette sindaco di due tra le maggiori città italiane. Non è certo la prima volta che delle donne vanno a occupare il gradino più alto di un'amministrazione comunale, sebbene a Roma per esempio non era mai successo. Fatto sta che si è di nuovo aperto il dibattito linguistico: è giusto dire "sindaco" o "sindaca"?

Il che ci porta a bomba a farci altre domande sullo stesso tono. Perché il genere maschile continua a vincere quando si parla di professioni che presuppongono un certo livello di potere che, guarda caso, fino a ieri erano esclusiva degli uomini? Perché avvocato e non "avvocata"? Architetto e non "architetta"? Direttore e non "direttrice"?

Una questione a prima vista linguistica, che però più che provocarci reazioni da professoressa di italiano, risveglia la suffragetta che c'è in noi. 

Tornando all'approccio linguistico, l'Accademia della Crusca nel 2013 ha pubblicato nel proprio sito la sua autorevole posizione a favore dei nomi di mestiere al femminile:

Le resistenze all'uso del genere grammaticale femminile per molti titoli professionali o ruoli istituzionali ricoperti da donne sembrano poggiare su ragioni di tipo linguistico, ma in realtà sono, celatamente, di tipo culturale; mentre le ragioni di chi lo sostiene sono apertamente culturali e, al tempo stesso, fondatamente linguistiche.

La enciclopedia Treccani, invece, sul tema mantiene un atteggiamento neutro. E alla domanda: "Come si dice correttamente sindaco al femminile?". Risponde:

Chi scrive il sindaco Anna Rossi non sbaglia, preferisce usare il nome di mestiere sindaco trattandolo come se fosse una sorta di "neutro", inclusivo dei riferimenti di genere maschile e femminile, riferito a una categoria professionale in termini di funzione generale. Chi scrive sindaca adopera con efficacia le risorse flessive messe a disposizione dalla nostra lingua: sindaco/sindaca, avvocato/avvocata, postino/postina, ecc. seguono la normale alternanza nominale di genere maschile/femminile, espressa attraverso le uscite -o e -a.

Quanto ai maggiori quotidiani nazionali, Corriere della Sera e Repubblica hanno preso la stessa posizione:

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Al politicamente corretto, risponde su Facebook il comico Natalino Balasso facendo sorridere in poche ore oltre 16 mila fan:

Ma davvero il problema è di dire avvocata invece che avvocato? Sindaca invece che sindaco? Io sono un persono abbastanza concreto, non sono certo un idealisto, ma questa cosa della a e della o, non è un po' una stronzata? Io credo che tutte le persone e i personi di buon senso capiscano che se Maria è sindaco non è che ha cambiato sesso. E adesso magari mi diran che sono maschilisto.

E dunque?

Facendo outing, nei giornali femminili dove avere un capo donna non è una rarità ma la regola, tranne poche eccezioni vince "direttore", preferito mille volte a "direttrice", che farebbe troppo collegio femminile, ovvero un ghetto di genere. D'altra parte, un direttore di giornale donna si può pur sempre prendere la rivincita di fare la "giornalista", e non certo il "giornalisto".

Questa visione, peraltro, è condivisa anche in altri ambiti, tra i molti che prevedono la presenza di un direttore. 

Speranza Scappucci, direttore d'orchestra osannata in tutto il mondo, tra le pochissime donne al top in un settore artistico dominato dagli uomini, per esempio, da noi intervistata si è espressa così:

«Direttrice non mi suona bene, preferisco essere chiamata direttore. D'altra parte, nella musica non c'è differenza tra uomini e donne, ma tra un artista bravo e uno impreparato. Se oggi dirigo grandi orchestre è perché ho studiato tanto e ho trovato chi ha creduto in me».

Ecco, al di là della "o" e della "a", ciò che conta, e che fa la differenza, sono i fatti. L'impegno, il lavoro, i risultati. E le parole li devono raccontare.


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