Paola Antonelli è una donna italiana che ha fatto una carriera pazzesca nel mondo dell'arte, un settore spesso dominato dagli uomini. Oggi è curatrice del Dipartimento di Architettura e Design al MoMa di New York, dove lavora dal 1994. È stata lei a portare la chiocciolina della mail e i videogiochi nella collezione di capisaldi del design del museo. 

L'abbiamo incontrata a Torino venerdì scorso prima del panel Guest in Orbit, dove ha parlato assieme a Samantha Cristoforetti della casa del futuro. Leggi l'intervista!

Hai portato per la prima volta al MoMa i videogiochi. Hai ricevuto anche molte critiche…

«I videogiochi sono riconosciuti in tutto il mondo come una forma d'arte e design, ma anche come un metodo d'insegnamento e per risolvere problemi grossi, come per riabilitare le persone che hanno avuto un ictus. Tutti sanno che i videogiochi sono importanti, tranne alcuni esponenti del mondo dell'arte, che pensano ancora che l'arte abbia a che fare con i dipinti a olio appesi al muro. Queste persone si difendono all'arma bianca, perché sanno che è la fine di un'epoca.»

Nel 2004 Art Review ti ha citata tra le 100 persone più influenti nel mondo dell'arte… Ti ricordi quante donne c'erano? 

«Ero la numero 98! (ride, in realtà abbiamo controllato era la 91, NdR). Quando si parla del mondo dell'arte non ci sono poche donne: ci sono tantissime donne che lavorano nei musei ma quasi nessuna è direttrice. La classe dirigente è molto spesso di sesso maschile, non solo nel mio campo. C'è ancora una disparità tra donne e uomini che non è giustificata dalle quote demografiche, ma le cose stanno cambiando in modo estremamente interessante. Non è più una questione di maschi e femmine, ci sono anche tutti gli altri gender. C'è una fluidità che non esisteva prima e questo sta mettendo in difficoltà il sistema.»

Lavori per uno dei musei più importanti del mondo, ma hai dichiarato spesso di non amare l'arte. In che senso?

«Non amo il mondo dell'arte che cerca sempre di abbassare le altre discipline per innalzarsi. Io considero il design molto più difficile dell'arte. La differenza tra un'artista e un designer ha a che fare con il mercato e col fatto che un artista può scegliere se occuparsi di altri esseri umani o no, mentre il designer se ne occupa per definizione.»

Da quando sei arrivata al MoMa hai avuto difficoltà a importi in un ambiente prevalentemente maschile? 

«Quando si tratta di far accettare delle idee nuove non è una questione di uomini o donne, ma di posizione culturale e di mentalità. E devo dire che la mentalità un po' all'antica non fa distinzione di sesso. Se invece parliamo di carriera ho trovato un bel tetto anche negli Stati Uniti.»

Nei tuoi studi hai fatto una virata. Hai iniziato facendo Economia… 

«Discipline Economiche e Sociali, alla Bocconi. Economia "intellettuale"...» ci tiene a precisare.

E poi hai deviato verso Architettura. Come mai?

«Non ero abbastanza intelligente! (ride) Non riuscivo proprio a capire. La giustificazione che dò è il fatto che all'epoca non esisteva ancora la Behavioral economics e tutti cercavano di insegnare l'economia come se fosse una scienza esatta. Ma questa è la mia scusa, la realtà è che non avevo la testa. E così, dopo due anni, passai ad Architettura al Politecnico di Milano, senza neanche dirlo ai miei genitori…»

E quando l'hanno saputo i tuoi genitori come l'hanno presa? 

«Non bene» (ride)

Ti hanno assecondata nel tuo percorso?

«E cosa dovevano fare?», ci scherza su. «Sì, mi hanno sostenuta, perché si fidavano di me, ma all'inizio non l'hanno presa bene. Adesso hanno capito che ho fatto bene.»

Quindi hai capito la tua strada "strada facendo"? 

«Completamente strada facendo! Pensa che prima volevo fare l'astronauta, lo dico perché non c'è Samantha!» e si guarda attorno per vedere se è arrivata la Cristoforetti.

E come hai capito che stavi andando nella direzione giusta? 

«Mi è andata bene! Non mi ricordo più come sono successe le cose, però è andato tutto come doveva andare. Sembra che sia tutto successo per caso, ma neanche tanto: ho lavorato durissimo e ho fatto le scelte giuste. Scelte che erano molto momentanee. È un po' come fare surf: quando arriva l'onda giusta la prendi nel modo più aggraziato possibile. Penso che sia quello che mi è successo: un sacco di allenamento e prendere le onde giuste.»

Che talento deve avere o coltivare una ragazza per fare una carriera come la tua e arrivare così in alto? 

«A parte la fortuna che ho avuto, ho sempre lavorato tanto, ma tanto. Tantissimo. Sono sempre stata puntuale, attendibile, professionale. E ho saputo cogliere le occasioni quando mi si sono presentate. Ci vuole fortuna ma soprattutto professionalità: lavoro, lavoro, lavoro!»

Qual è il tuo pezzo di design preferito? 

«È la sacco. Ce l'ho a casa e in ufficio, ci faccio i pisolini pomeridiani e le interviste. Fa parte della mia vita.» 

Segui Paola Antonelli su Twitter @curiousoctopus

La location in cui Paola Antonelli ci ha concesso questa intervista è Casa Jasmina, dentro il coworking Toolbox di Torino. Una casa ipertecnologica e superconnessa grazie alla piattaforma open source Arduino che permette di interagire e connettere tra loro gli oggetti domestici. Progettata da Bruce Sterling e da sua moglie Jasmina, da cui la casa prende il nome, è un prototipo di casa del futuro che mette in pratica l'IOT (internet of things), ovvero l'internet delle cose.