No, non è una nuova specialità olimpica: job hopping è un termine coniato dai ricercatori americani per indicare la tendenza a cambiare lavoro spesso, diffusa soprattutto tra i millennials. Se sei nata tra i primi anni '80 e la metà dei '90, dunque, probabilmente lo stai già praticando. Secondo l'ultimo Economic Graph, il report annuale di LinkedIn, negli Usa i millennial cambiano quasi 2,85 posti di lavoro nei primi 5 anni dalla laurea, contro una media di 1,6 della generazione precedente. In pratica, nello stesso periodo in cui tuo padre stava facendo la sua carriera da neo-assunto, tu sei già passata per quasi tre aziende diverse, e magari con ruoli, mansioni (e contratti) differenti.

Hai sempre pensato che si trattasse più semplicemente (e tristemente) di lavoro precario? E che se non fosse per i contratti a termine, faresti volentieri a meno di "saltare" da un'azienda all'altra? In parte hai ragione, ma numerosi studi svolti negli Stati Uniti, dove è una tendenza in aumento, ti dicono che il fenomeno è assai più complesso. E, che in realtà, se preso nel verso giusto, potrebbe avere un risvolto decisamente positivo. Facendo le dovute proporzioni (trovare lavoro in Italia resta ben più difficile che negli Usa), ciò che tanti ragazzi come te fino a ieri subivano per necessità, come conseguenza della crisi, oggi si potrebbe rivelare addirittura un potenziale trampolino per la carriera.

Ai millennials piace imparare

La recessione non basta per spiegare una tale differenza. Secondo gli stessi analisti, la ragione è anche culturale: i millennials sono più interessati a provare diversi lavori prima di concentrarsi nella carriera in un dato settore. Il che significa avere un approccio curioso e imprenditoriale verso il lavoro in generale, ma anche nutrire un certo distacco nei confronti del proprio datore di lavoro: uno studio pubblicato dalla Harvard Business Review dice che il 21% dei 20-35enni ha cambiato posto almeno una volta nell'ultimo anno (numero più di tre volte superiore rispetto alle generazioni precedenti). Questo vuole dire anche puntare molto di più sul network di rapporti professionali, una sorta di "kit" di conoscenze e relazioni che ci si porta via da un ufficio all'altro. Non a caso, per i millenials tra i fattori determinanti nel rendere un'azienda la migliore dove lavorare non ci sono benefit alla Google come i tavoli da ping pong e la birra gratis (apprezzati più dai quarantenni), ma la possibilità di crescere e imparare professionalmente e la presenza di manager in gamba cui ispirarsi.

Cambiare lavoro fa bene allo stipendio 

Se i trentenni americani praticano il job hopping, è anche per una ragione economica. Secondo alcuni studi della società di ricerca Gallup, in un mercato occupazionale sano cambiare lavoro oggi garantisce un aumento di stipendio maggiore di quello che è possibile ottenere tramite carriera interna, con un incremento medio del 20%, specie se si è agli inizi del proprio percorso lavorativo. Una prospettiva che per i ragazzi americani, spesso oberati dal debito contratto per pagare l'università. E lo stesso vale per le promozioni: ben il 93% dei lavoratori Usa dichiara di essere riuscito a conquistare l'ultimo avanzamento di carriera cambiando società, mentre appena il 7% ce l'ha fatta restando nella stessa azienda.

Collezionare esperienze differenti è un valore

Se hai sempre creduto che un curriculum "movimentato" faccia suonare nel responsabile HR un campanello d'allarme, è ora di rivedere almeno parzialmente le tue convinzioni. In questo caso, infatti, la verità sta nel mezzo. È vero che un'indagine della società Usa di recruiting Robert Half ha rilevato che l'aver cambiato 5 lavori in 10 anni fa scattare il semaforo sul rosso, ma la rivista economica Forbes in un recente articolo invita i millennials a smetterla di scusarsi per il fatto di essere campioni in job hopping, perché oggi più che mai possedere una somma di esperienze professionali, meglio se diversificate, è un valore. L'importante è tirarle fuori nel contesto giusto: in base ai dati di LinkedIn, questa tendenza non è diffusa allo stesso modo in tutti i settori: i campi dove i "salti lavorativi" sono più frequenti e apprezzati sono Comunicazione & Entertainment, Hi-Tech, Consulenze professionali e No-Profit.

Addio scala, ora c'è la jungle gym

In un simile scenario, usare ancora la metafora della scala per parlare di carriera è decisamente superato. La parola giusta adesso è jungle gym, l'area attrezzata nei parchi gioco dove i bambini si divertono ad arrampicarsi, lanciarsi con le corde e passare attraverso tunnel colorati. Anche il lavoro, infatti, può portarti a salire e quindi scendere, a imboccare una direzione per poi prenderne un'altra. E se hai lo spirito giusto, alla fine farai grandi cose. Soprattutto se sei una ragazza. Nessuno come le donne, infatti, è allenato ad affrontare percorsi professionali altalenanti e a ricominciare spesso da zero dopo la maternità, mettendosi alla prova in diverse mansioni e ruoli. Non a caso, la prima a usare questo termine, poi ripreso anche da Sheryl Sandberger, direttore operativo di Facebook e autrice di Facciamoci avanti (Mondadori), è stata Pattie Sellers, executive director di Fortune, parlando di leadership femminile. Secondo Sanders, infatti, il potere delle donne si esprime attraverso una gestione orizzontale della leadership, basata sulle relazioni, mentre quella maschile, al contrario, si manifesta in senso verticale, attraverso la gerarchia. Insomma, oggi la via al successo procede a grandi balzi in un modo assai più congeniale alle donne!

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