Poche ragazze hanno la grinta di Vanessa Mele. Nata a Nuoro 24 anni fa, a 18 ha scelto di inventarsi una nuova esistenza lontano da casa dedicandosi alle donne che subiscono maltrattamenti. Ha studiato Scienze Sociali in Galles, ha fatto la volontaria in un centro britannico di accoglienza, si è laureata in criminologia. E ora lavora da expat a Manchester e fa piani per il futuro. Ma questo non è niente: fin da piccola ha dovuto affrontare ben altre prove. E non è un caso se le vittime di violenza domestica le stanno così a cuore. Vanessa, infatti, è un'orfana di femminicidio. Il 3 dicembre 1998 suo padre, guardia forestale, le uccise la madre con la pistola d'ordinanza, dopodiché si costituì. Lei aveva 6 anni. Gli zii materni l'hanno cresciuta con amore, ma questo non le ha impedito di diventare una "vittima secondaria" (così sono chiamati gli orfani nel freddo linguaggio burocratico) costretta a fare i conti con un doppio trauma. Lo stesso genitore che le aveva rubato la mamma, infatti, ha cercato d'impossessarsi dell'eredità della propria vittima, a spese di Vanessa. Lei, però, non ha mai mollato e in tutti questi anni ha combattuto con tenacia per i propri diritti riuscendo a vincere la sua battaglia. Una vicenda personale che ha perfino ispirato una nuova legge più giusta (purtroppo al momento bloccata in Senato da alcune obiezioni sollevate da alcuni partiti del centro-destra) non solo per gli oltre 1.600 orfani di femminicidio in Italia, ma per tutte le donne. Parola di Vanessa, che ce ne ha spiegato il perché raccontandoci la sua storia.

«Quando la legge che tutela gli orfani di femminicidio è passata alla Camera all'unanimità, mi sono commossa. Erano i primi di marzo del 2017 e per caso mi trovavo in Sardegna, così ho potuto festeggiare anche con Anna Maria Busia, la mia avvocata, che questa legge l'ha scritta. Essere riuscite a vedere i primi frutti di una così lunga battaglia è stato emozionante. Dopo tutte le difficoltà che ho dovuto affrontare, sapere che in futuro nessuno più si troverà di fronte una burocrazia che ti fa muro è impagabile.

Ho passato molti momenti duri, ma uno dei peggiori è stato quando mio padre nel 2009 ha richiesto la pensione di reversibilità della persona che aveva ucciso, mia madre, senza che io potessi fermarlo in alcun modo perché lo Stato glielo consentiva. Allora avevo 15 anni. Lui era già uscito dal carcere e su sua richiesta gli applicarono subito la legge che di norma prevede l'80% al coniuge e il 20% ai figli. Ne ha beneficiato poco perché poi con un'azione legale sono riuscita a bloccarlo. Ma la cosa più scandalosa è che nel frattempo l'Inps gli aveva già versato gli arretrati, cioè quanto dovuto dal 1998, da quando aveva ammazzato mia madre, una cifra intorno ai 50mila euro, soldi che lui si è preso e tenuto. Anche tornare pienamente in possesso della casa dove avevo abitato fino al giorno dell'omicidio è stata dura. In base alla legge di successione l'appartamento era di mio padre al 50%: per estrometterlo ho dovuto intraprendere una causa civile faticosissima che si è conclusa a febbraio 2017. Ci ho messo 19 anni per avere qualcosa che avrebbe dovuto essere mio da subito! Grazie alla nuova legge tutto questo non sarà più possibile perché finalmente i diritti degli orfani saranno tutelati e le pretese dei padri uxoricidi verranno stoppate.

Un femminicidio non è mai provocato da passione, i veri moventi sono altri: sete di denaro, odio. È una verità purtroppo ancora sottostimata. Quando leggo nei titoli di giornali termini come "Un amore malato" mi viene la pelle d'oca. Come si può parlare di amore in questi casi? È essenziale ribadirlo perché con le nuove disposizioni non ci sarà più alcun interesse economico a commettere un uxoricidio. La legge servirà, quindi, anche come deterrente: nessuno potrà più guadagnarci ammazzando la propria moglie, o marito.

Combattere per la casa dove sono nata e la pensione di mia madre mi è costato molto emotivamente. Se sono riuscita a superare le tante difficoltà e amarezze è stato grazie al mio orgoglio. E anche a Harry Potter. La sua magia è stata la mia arma segreta. Leggerne le avventure, far volare la fantasia, mi ha dato grande conforto. Ma, soprattutto, ho reagito per senso di giustizia. Perché una persona che ha già sofferto un dolore così grande non può poi subire il doppio trauma di scoprire di non avere più nulla, e sempre a causa del padre uxoricida. Eppure è quello che accade a tanti orfani perché questi comportamenti purtroppo sono frequenti. Da un genitore che ha ammazzato tua madre ti aspetti che almeno si senta in colpa, e non che ti pugnali ancora di più. Perché di questo si è trattato: una pugnalata nell'anima. Dopo che ti ha tolto la mamma, quell'uomo ti prende anche ciò che ti spetta di diritto. È difficile esprimere a parole cosa significa affrontare tutto ciò.

La violenza domestica è entrata nella mia vita che ero molto piccola, ma ho avuto sempre piena consapevolezza della mia situazione. Ero una bambina curiosa: facevo mille domande, volevo sapere. Mi hanno cresciuto i miei zii, il fratello di mia madre e sua moglie, che considero i miei genitori, così come sono miei fratelli i loro figli biologici. Non mi hanno mai nascosto nulla, anche con l'aiuto di una psicologa. E forse proprio per capire meglio ciò che mi era successo, dopo il liceo ho deciso di studiare Scienze Sociali specializzandomi in Criminologia. Ma non in Italia. Alle superiori avevo fatto un anno in Uk con Intercultura: una bella esperienza. Ho pensato che poteva essere una buona idea tornarci.

Così nel 2011 ho lasciato l'italia per studiare in Uk. Ho frequentato l'Università di Aberystwyth, in Galles. Poi dopo la laurea mi sono spostata a Manchester, dove abito tuttora. Al momento, però, sto facendo tutt'altro. Lavoro in un'agenzia di autonoleggio. Ho sentito il bisogno di prendermi una pausa da ciò che per tutti questi anni è stato al centro dei miei interessi, personali e di studio. Una sorta di anno sabbatico, per capire cosa volevo fare davvero. A un certo punto ti chiedi se hai studiato così tanto per aiutare gli altri o per aiutare solo te stessa. Comunque il tempo che mi sono data sta per finire e ho già le idee più chiare: tornerò a occuparmi di violenza di genere. E con maggiore consapevolezza.

Ho fatto la volontaria in un centro antiviolenza in Galles, nel 2014, mentre frequentavo l'università. Per poco più di un anno ho prestato assistenza a donne in difficoltà, scoprendo che le dinamiche non cambiano, che ci si trovi a Aberystwyth o a Cagliari. Stesse storie, stessi scenari, stessa violenza. Molti pensano all'Italia come a una realtà sociale in parte degradata, dove determinati fatti possono accadere più che altrove anche a causa della crisi e di una cultura retriva, mentre il Regno Unito ha fama di un Paese progressista, e invece la realtà è un'altra. Le donne subiscono violenza in Uk come da noi. Ma se in Italia non si fa quasi nulla, il governo britannico investe molto negli aiuti, con una vasta rete di centri e case di accoglienza diffuse su tutto il territorio nazionale, operatori sociali specializzati e iniziative per diffondere una corretta informazione, inclusi percorsi educativi per i sex offender. È questo a fare la differenza.

In Italia vado solo per le vacanze. Sono più le volte che vengono a trovarmi i miei fratelli! A Manchester ormai ho la mia vita, il mio gatto Oscar e tanti amici. A dire il vero, finora avevo sempre escluso l'idea di vivere di nuovo nel mio Paese, ma ora sono meno categorica. Chissà, forse in un futuro prossimo mi piacerebbe anche tornare. Negli ultimi mesi, poi, sono anche entrata in contatto con altri orfani in situazioni simili alla mia. Mi chiedono informazioni, suggerimenti. Parlare con chi ha subìto esperienze analoghe è utile: ti aiuta a capire che non sei solo. Ma è difficile dare consigli perché, alla fine, ciascuno elabora a modo suo il trauma. In ogni caso, però, la solidarietà che si stabilisce è preziosa.

Per mio padre non provo più nulla. Nemmeno odio. È uscito dal carcere da diversi anni, ormai, e io l'ho cancellato insieme al suo cognome. Appena compiuti i 18 anni ho fatto domanda per cambiarlo in quello attuale. C'è voluto un anno. L'ho fatto per liberarmi del tutto di lui, ma anche per un senso di appartenenza alla mia vera famiglia: Mele era il cognome di mia madre ed è quello di suo fratello, il mio papà di tutta la vita. Del resto, il mio padre biologico, una volta libero, ha provato a contattarmi una sola volta. Due giorni prima di richiedere la pensione di mia madre, ho scoperto poi.

Alle ragazze che si imbattono in un partner violento dico che bisogna imparare a leggere i segnali. Non sempre si manifestano con un maltrattamento fisico: quelli psicologici sono altrettanto dannosi. Dal momento in cui un uomo ti umilia e ti toglie la libertà facendoti sentire inferiore in ogni modo, anche economicamente, devi allontanarlo dalla tua vita. E se ti dà uno schiaffo, non importa se poi ti regala un mazzo di fiori. Sperare che uno così possa cambiare è l'errore peggiore. Se non ti rispetta una volta, non ti rispetterà mai».

L'immagine nella foto è puramente simbolica.

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