Sono un po' stanca lo confesso. Quando ho cominciato a lottare per il diritto di cittadinanza italiana per i figli di migranti avevo 20 anni e i capelli nerissimi. Ora ne ho 40, qualche filo bianco in testa e per noi non è cambiato nulla. Siamo ancora considerati estranei, roba altrui, stranieri nella propria nazione. Viviamo in un limbo dove lo Stato non ci riconosce come figli suoi. L'Italia (e lo dico con una tristezza immensa che mi invade l'anima) di fatto è un genitore che ci rifiuta. Ma rifiutandoci rifiuta anche se stessa, perché noi siamo Made in Italy come il parmigiano reggiano, gli spaghetti co' a' pummarola in coppa, le arie di Verdi, la pizza e le giacche di Armani. Made in Italy dalla testa ai piedi. Anzi fino al midollo proprio.

Il problema della riforma sulla cittadinanza è un problema di fatto esclusivamente politico. Invece il popolo non ha nessun problema con la cittadinanza. Il popolo ci ha abbracciato da tempo.

Siamo così tanto Made in Italy che ultimamente #Italianisenzacittadinanza, una delle realtà più vivaci che lottano per la riforma, durante il Festival di Sanremo 2017 ha lanciato tra i figli di migranti nientepopodimeno che una performance sulle note de L'Italiano di Toto Cutugno. E i figli di migranti "con la chitarra in mano" si sono scatenati. Hanno invaso il web con i loro video, cantando a squarciagola la propria voglia di esistere.

La legge che potrebbe cambiarci la vita, e che sta creando tanto clamore in Senato, è rimasta bloccata per mesi da più di 6.000 emendamenti della Lega Nord nel disinteresse del resto dell'arco parlamentare. Antonio Gramsci non a caso diceva (e sono d'accordo con lui). «Odio gli indifferenti». È proprio l'indifferenza a uccidere le speranze. Il rifiuto infatti viene da chi fa del bene comune (e l'esistenza di ognuno di noi esseri umani è un bene comune) una triste parata di giochi politici, tattiche, riposizionamenti. Il problema della riforma sulla cittadinanza è un problema di fatto esclusivamente politico. Invece il popolo non ha nessun problema con la cittadinanza. Il popolo ci ha abbracciato da tempo.

Per il Paese reale, quello fatto da professoresse, scrittori, profumieri, giornalai, rigattieri, musicisti, santi, navigatori, astronauti, noi siamo addirittura una priorità. Secondo una recente indagine di Demos sulla cittadinanza per i figli di migranti quasi tutti sono d'accordo nell'approvare la legge. Perché chi nasce e cresce in Italia è italiano. Ed è un risultato sorprendente perché persino molti elettori della Lega Nord sono d'accordo con la riforma. Allora, se la gente è d'accordo, perché non si fa? Perché la politica considera questo tema urticante?

Sono domande che mi faccio spesso. E me le faccio ogni volta che vado a fare dei laboratori a scuola. Le classi sono ormai multietniche e per chiunque frequenti un'aula scolastica sa che nessun bambino è straniero e che il futuro sarà sempre più mescolato. Ma se questa evidenza è sotto gli occhi di tutti, perché non si fa nulla?

La legge attualmente in vigore è davvero un incubo. La chiamiamo tra noi "la famigerata 91/92" (legge n.91 del 1992). In sintesi, per questa legge chi è nato in Italia al compimento dei 18 anni ha un anno di tempo per diventare cittadino, ma deve dimostrare la residenza ininterrotta dalla nascita. Se è arrivato da piccolo la sua unica via di accesso è il genitore che ottiene la cittadinanza, pratica non facile perché è ancora più ardua per gli adulti stranieri. L'unica possibilità che resta per diventare italiani da maggiorenni è quella di avere 10 anni di residenza legale e numerosi requisiti di reddito.

La 91/92 in pratica ti consegna nelle mani della peggior burocrazia. Infatti non sempre è possibile dimostrare la residenza continuativa. E poi ci sono gli errori burocratici come quelli successi all'attuale consigliera comunale al Comune di Milano Sumaya Abdelqader che ha dovuto aspettare 12 anni prima di ottenere la cittadinanza che le spettava di diritto. Tutto a causa di una residenza non registrata da parte del suo allora comune di residenza.

Mi ricordo poi quando mia madre ha preso la cittadinanza italiana. La mia dolce mamma ha un nome lungo come tutti nella tradizione dei nomi somali. Eravamo inondati da lettere in cui si chiedeva: "Chi è Kadija Jama? E chi è Kadija Hussein? E chi è Kadija Jama Hussein?". Era sempre mia madre, ma la burocrazia proprio non ci arrivava.

Ma la legge giace in un cassetto. Dimenticata. Mi sembra di vederla poverina, piena di polvere e disperazione. I figli di migranti, però, non ci stanno a essere dimenticati, per fortuna. E lottano, lottano, lottano. Con le armi della creatività e dell'ironia.

L'attuale riforma (quella in discussione in Senato) non è una nuova legge, bensì un disegno di legge per modificare quella in vigore, ovvero la 91/92. Praticamente faciliterebbe di molto la vita dei figlio di migranti, anche se di fatto non è uno ius soli puro, ma temperato. Per il disegno di legge, infatti, chi nasce in Italia avrebbe la possibilità di ottenere la cittadinanza se almeno uno dei genitori è in possesso di un soggiorno di lungo periodo (che di norma si ottiene dopo 5 anni). Grazie alla riforma, però, avrebbero diritto non solo i nati, ma anche i "cresciuti" nella penisola. In pratica, chi fosse arrivato prima del dodicesimo anno d'età potrebbe ottenere la cittadinanza dopo un ciclo scolastico frequentato. Per chi fosse invece arrivato dopo, tra i 12 anni e i 18, si aprirebbe la via della cittadinanza dopo 6 anni di residenza e un ciclo scolastico frequentato e superato con profitto. Inoltre, questa riforma comprenderebbe anche chi oggi è maggiorenne, essendo però arrivato in Italia entro i 12 anni di età, e che quindi avrebbe maturato i requisiti. In poche parole, questo disegno di legge (non perfetto, ma che molti figli di migranti considerano un primo passo necessario) farebbe una fotografia dell'esistente, ovvero di quello che è diventata l'italia oggi, multiculturale, multireligiosa e colorata da un arcobaleno di esperienze.

Ma la legge viene contestata da alcuni partiti politici. Mi sembra di vederla poverina, piena di lividi e disperazione. I figli di migranti, però, non ci stanno a essere dimenticati ancora una volta, per fortuna. E lottano, lottano, lottano. Con le armi della creatività e dell'ironia.

Amiche, questa cittadinanza s'ha da fare e anche presto. Il futuro non può più aspettare!

Le varie sigle che riuniscono i figli dei migranti, dai già citati Italiani senza cittadinanza, a Questa è Roma fino ad arrivare a Rete G2 e a tutti gli enti consorziati nella rete L'Italia sono anch'io, hanno deciso che non si poteva più aspettare, che il momento di agire era ora. Ed ecco che per incanto febbraio 2017 è diventato il mese della cittadinanza, con sit-in piazza, foto ironiche e virali, iniziative spontanee, dibattiti.

Insomma, amiche, questa cittadinanza s'ha da fare e anche presto: è un diritto che non deve essere rimandato. Il futuro non può più aspettare.