C’era una volta il Gay Pride.

Il Pride è un evento nato ormai oltre cinquant’anni fa, a seguito dei cosiddetti moti di Stonewall. Nella notte tra il 27 e il 28 giugno 1969, la polizia di New York irruppe con violenza nello Stonewall Inn, un bar gay del Greenwich Village.

I frequentatori e le frequentatrici del bar, si ribellarono scatenando una rivolta di tre giorni, per rivendicare i propri diritti.

Nasceva così il movimento di liberazione gay.

A partire dall’anno successivo, ogni anno in quella data (non a caso il Pride Month si celebra nel mese di giugno), si iniziarono ad organizzare marce e cortei proprio in commemorazione dei moti di Stonewall, dando vita al quello che per tanti anni si è definito come il Gay Pride. Il movimento è cresciuto nelle sue manifestazioni anno dopo anno, consolidandosi sempre più fino a diventare un appuntamento iconico supportato da tantissime personalità anche del mondo dello spettacolo. Alcune cose richiedono tempo: pensa che solo nel 2019 la polizia di New York ha fatto le sue scuse per le violenze di Stonewall Inn.

Negli ultimi tempi però, dopo oltre 50 anni, la definizione di Gay Pride inizia a stare stretta in quanto, con l’evoluzione del contesto di riferimento, rischia di trasformarsi in una semplice etichetta non esaustiva e che di inclusivo ha davvero ben poco. Insomma, il Pride non è un’esclusiva della comunità gay ma un evento accessibile e inclusivo che merita un nome capace di definire per bene la sua stessa essenza!

Le parole sono importanti

La società è un qualcosa in continua evoluzione. E non deve meravigliare che a volte le parole facciano fatica a starle dietro.

La comunità LGBTQIA+ ha da sempre rivolto grande importanza ai termini utilizzati dalla propria collettività, un linguaggio specchio della propria inclusività e della continua evoluzione del riconoscimento dell’identità.

Basti pensare all’evoluzione dell’acronimo LGBTQIA+, nato negli anni novanta come LGB (lesbiche, gay e bisessuali), che poi da allora si è a poco a poco ampliato innumerevoli volte, per diventare sempre più inclusivo, fuori e dentro dal Pride.

I termini che descrivono la comunità LGBTQIA+ sono diventati oggi tanto ampi quanto lo è la comunità stessa: a fronte di una maggiore inclusività nella comprensione e nel riconoscimento delle diverse identità sessuali ed espressioni di genere, anche il linguaggio usato per descriverle si è ampliato per poter includere tutte le facce e le manifestazioni dell’identità sessuale e della sessualità contemporanea.

Dal Gay Pride al Pride

La parata del Pride, che letteralmente significa parata dell’orgoglio, è una manifestazione pubblica aperta a tutte e tutti, altamente inclusiva nella sua sostanza e anch’essa in costante evoluzione. Non sorprende quindi che nel tempo l’evento, precedentemente conosciuto come Gay Pride o marcia dell’orgoglio omosessuale, si sia evoluto anche dal punto di vista linguistico, e formale, ridefinendosi come:

  1. La parata dell’orgoglio LGBTQIA+
  2. Pride (e non più Gay Pride), al fine di includere il vasto e colorato ventaglio di orientamenti sessuali ed identità di genere.

Di una cosa siamo sicuri! Le parole usate per descrivere l’espressione di genere e l’identità sessuale continueranno a cambiare nel tempo con il superamento di alcuni stereotipi o semplicemente per adeguarsi a nuovi comportamenti e stili di vita.

Quale pensi sarà la prossima espressione ad essere soggetta a un’evoluzione?