Per giorni il Cremlino ha negato pervicacemente ogni ipotesi di invasione del Paese, l’Ucraina, attorno a cui aveva ammassato 190mila soldati: l’ha chiamata «isteria», «informazioni false», «disinformazione totale», accusando gli Stati Uniti di volerlo diffamare agli occhi dell’opinione pubblica mondiale. Poi, con un breve intervento in video, Vladimir Putin ha dato ordine alle sue truppe pronte all’attacco di invadere l’Ucraina, per proteggere le vittime di «abusi e genocidi» ai danni dei russi di cui sarebbe impossibile produrre prove, perché non esistono.

Non è complicato spiegare perché una guerra è sempre fonte di timore, e a maggior ragione quando scoppia in un Paese europeo attaccato da una potenza internazionale; più complesso è parlare di come questa guerra ci riguarda tutti e tutte, e mette direttamente a repentaglio la società in cui viviamo.

a woman holds a poster asking to stop putin   stop war as demonstrators protest against russias invasion of ukraine on february 24, 2022 in front of the brandenburg gate in berlin photo by john macdougall  afp photo by john macdougallafp via getty imagespinterest
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Nelle prime fasi della crisi russo-ucraina, e fino a poche ore fa, uno dei refrain più ascoltati sui profili di improvvisati luminari della geopolitica è stato: “Putin vuole ottenere il passo indietro della Nato, è una richiesta legittima!”. Ma se sulla legittimità di una richiesta del genere si potrebbe discutere, è invece ormai certo (e autoevidente) che per il presidente russo quello dell’allargamento dell’alleanza atlantica era solo un comodissimo specchietto per le allodole: nella già famigerata riunione con il suo Consiglio per la sicurezza nazionale, trasmesso in streaming in una versione recitata, Putin si è finto dubbioso circa il da farsi con l’Ucraina, salvo poi arrivare poche ore dopo con un discorso di 80mila parole in cui annunciava che l’Ucraina non aveva alcun diritto di esistere.

Quest’ultimo è il vero nocciolo di ogni discorso sui fatti delle ultime ore: sul piatto di questa guerra di aggressione imperialista non ci sono solo Kiev e la Cattedrale di Santa Sofia, le vite degli ucraini e dei russi e la crisi dei profughi che il conflitto genererà, ma anche le stesse idee di democrazia e ordine internazionale come le conosciamo. Non è un bolso stratagemma retorico da editoriale: un’Ucraina occupata dalla Russia costringerebbe l’Europa e gli Stati Uniti a rifondare dalle basi la sicurezza del continente, preparandosi a un conflitto permanente con una potenza nucleare che ha già dimostrato di sottrarsi a qualsiasi calcolo razionale o rispetto per gli accordi e i principi democratici.

In campo, a Kiev e Charkiv e Dnipro e Donetsk, non c’è solo una questione russo-ucraina, intrecciata alla storia zarista e sovietica di questi due Paesi, ma anche – se non soprattutto – un confronto fra due modelli politici in lotta in tutto il mondo: da una parte una cleptocrazia autoritaria che si regge sulla repressione del dissenso e usa la guerra come arma di affermazione personale, dall’altra una – faticosa, imperfetta, progressiva, specie nel caso ucraino – aderenza a un ordine basato sullo stato di diritto, e su un’integrazione internazionale ispirata ai principi democratici.

berlin, germany   february 24 german chancellor olaf scholz attends a security cabinet meeting on february 24, 2022 in berlin, germany overnight, russia began a large scale attack on ukraine, with explosions reported in multiple cities and far outside the restive eastern regions held by russian backed rebels photo by henning schacht   poolgetty imagespinterest
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Quando parliamo della guerra in Ucraina (e tutto fa propendere per scenari tetri in cui saremo costretti a parlarne per molto), parliamo esattamente di questa contrapposizione. Non ci sono terze vie, e non si tratta di essere “con gli americani” o “con Putin”, o quantomeno non soltanto: si tratta di decidere se il mondo perfettibile ma libero costruito col sacrificio di intere generazioni ci sta tutto sommato bene e vale la pena di essere difeso, o se rispondere con indolenza e doppi standard, e convincerci che sotto sotto un cambio radicale di paradigma potrebbe giovarci.

Personalmente, penso che la costruzione di un impero autoritario a libertà limitata non possa giovare a nessuno. E alla più prevedibile e stupida delle obiezioni da bar – “e allora i droni di Obama erano meglio? Le guerre di Bush ci piacevano di più?” – che questa considerazione porta con sé, inizierei a rispondere che né Obama né Bush sono mai apparsi in televisione a spiegare con serenità al loro popolo che uno Stato estero non aveva alcun diritto storico e politico a esistere. Se pensate sia una differenza da poco, vi invito a pensare meglio.

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